Nell’Abbazia Cistercense di Lerins c’è un Crocefisso che sorride. Un ossimoro straordinario ma fedelissimo al contenuto evangelico. D’altra parte l’obiettivo dell’annuncio di Gesù era – per così dire – «far cambiare umore al mondo»: liberare dalla paura, dal pianto disperato, dalla tristezza, dall’apatia, dal livore, dalla durezza di cuore mostrando il volto sorridente di un Padre misericordioso e fedele, tutto intento a cercare la gioia per i propri figli.
Trasformare il Vangelo – che è una buona notizia e una ragione di speranza – in qualcosa di triste, pesante, noioso e logorante è un tradimento vero, che spesso proprio i credenti non mancano di commettere.
Perciò ecco qui: un sorriso per ogni venerdì di Quaresima. Con l’aiuto delle vignette di BeppeBeppetti, il commento di alcuni miei confratelli e mio, ascoltiamo il «sorriso di Cristo» raccogliendo un motivo di speranza e facendo il digiuno dalla tristezza.
Avremo pure fatto dell’aspetto esteriore la cosa più importante, ma di guardarci allo specchio sul serio non se ne parla. Se lo facessimo più spesso ne avremmo un gran vantaggio. Sai le risate? Ma sì, perché in fondo siamo buffi, goffi, impacciati. Alla fine, simpaticissimi.
Le volte in cui ci prendiamo troppo sul serio poi siamo da applausi a scena aperta. Quando siamo lì tutti concentrati sulle nostre cose – non di rado piccole cose – in cui abbiamo investito l’inverosimile e alle quali sacrifichiamo l’impossibile. Le quali finiscono con il ridurci tutti i giorni come al termine di una sessione di cardio-fitness: paonazzi, sudati oltre il limite della decenza, col fiato mozzato dallo sforzo e un odore che grida vendetta.
Se riuscissimo a vederci conciati così, almeno un sorriso ci scapperebbe.
Che poi, la cosa più buffa sta nell’effettiva importanza e consistenza di quelle faccende per cui tanto ci sbattiamo. Ammettiamolo: uno dei nostri più facili errori è fare enormi fatiche per ciò che alla fine ha un valore, una necessità e un’importanza relativi.
Succede a tutti – veramente a tutti – di credersi Atlante che sorregge il mondo, mentre si sta solo pedalando a vuoto, facendo una grande fatica per accorgersi alla fine di non essersi spostati di un millimetro. E, magari, lamentandosi della fatica, della noia del paesaggio sempre uguale, del traguardo che non arriva, dell’assenza di chi da il cambio o passa la borraccia. E chissà perché.
Che buffi. Forse abbiamo bisogno di sentirci qualcuno e di valere qualcosa, o siam presi dall’illusione del «dipende tutto da te», o forse l’ansia di dover dimostrare agli altri il nostro impegno, se non qualche talento. Chissà.
Magari, più seriamente, è la paura e la fatica di accettare che siamo solo un uomo o una donna. E che non abbiamo altro da fare che esserlo, senza dover dimostrare niente a nessuno.
E il sorriso più vero, il sollievo più ampio, la Gioia più profonda (maiuscola davvero) sta invece nel riconoscere che c’è sempre una strada che ci è data su cui poggiare i nostri piedi e un Volto – insieme compagno e meta del cammino – a cui delle nostre dimostrazioni di forza non importa nulla.
E che lungo quella strada, insieme alla giusta ma naturale fatica, c’è tutto ciò che serve. A suo tempo e a suo modo. Insieme a un paesaggio che, a passo d’uomo, è tutta un’altra cosa.
[commento di don Cristiano Mauri]