Pregavo spesso questa preghiera di don Luigi Serenthà quand’ero in Seminario. L’avevano anche musicata e la si cantava di frequente.
Un melodia dolce e delicata, su un’armonia essenziale che iniziando in tono minore si allargava al maggiore del ritornello «Tu Signore mi basti». Mi piaceva.
C’era in quel canto un che di pulizia, di limpidezza. Forse la semplicità delle parole, forse la schiettezza di una musicalità che pur avendo i toni dell’affetto e dell’intimità portava dentro i colori della nostalgia, come di un amore provato e sofferto.
Parole e suoni che, pur essendo carichi di dolcezza e tenerezza commoventi, sembravano esprimere una verità guadagnata lottando centimetro per centimetro e trattenuta con le unghie e con i denti.
Tu Signore mi basti. Tu sei il mio desiderio.
Mi convinco, ogni giorno di più, che si diventa preti per questo e lo si rimane solo per questo. Non per “far del bene”, nemmeno “per servire la Chiesa”, neppure “per annunciare il Vangelo”. Il nucleo è quella consapevolezza. Il resto, solo il modo storico con cui essa si manifesta.
Un’appartenenza totalizzante frutto non di uno slancio d’affetto verso questo Tu, ma della recezione del Suo dichiararsi: «Io sono tuo». Proprio così, non una proposta: «Vuoi essere mio?»; nè un’imposizione: «Tu sei mio»; ma una dichiarazione: «Io sono tuo».
Questo, da Lui a te, è ciò che basta. Questa verità è quella che scava il desiderio. Un nucleo che ha un tale calore e si propone con una tale potenza vitale da riuscire a riempire un’esistenza. Quasi una pretesa, gelosa e passionale.
Proprio per questo fa anche male. Brucia, graffia, stringe, urge. In modo misteriosamente dolce e liberante, ma non di meno reale e doloroso.
Quella verità – «Io sono tuo» – è una promessa. E avviene.
Accade in uno spogliamento delicato ma esigente: uno strato via l’altro, fino alla pelle, alla carne. Non passa giorno senza che qualcosa di sè non sia lasciato per strada. Non arriva sera senza aver messo qualcos’altro di sè nelle Sue mani.
L’amore cristiano è Amore Crocifisso. Anche nel farsi amare da Lui. Spoliazione e consegna di sè all’Altro.
«Se uno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Mc 8,34).
Vuoto e spoglio. E’ l’accadere quotidiano e mai concluso di quella promessa: «Io sono tuo».
Perché solo vuoti e spogli si diventa realmente servi inutili.
E solo nudi, a mani vuote si ha spazio per il centuplo.
Perché solo vuoti e spogli si può pregare: «Solo Tu sei mio».
[Tratto da: La bottega del vasaio. Una nuova rete per la Chiesa, ADD Editore]