Ecco il terzo dei quattro articoli della serie «Un libro alla settimana» nella quale propongo la lettura di alcuni testi che trovo significativi e soprattutto capaci di “lavorare dentro”. L’intenzione non è scrivere una semplice recensione, bensì motivare una lettura, offrendone una prospettiva e indicando uno spunto di riflessione personale. Ti invito ad aggiungere nei commenti o sulla pagina Facebook della Bottegaaltri consigli di lettura a tema con la proposta.
I primi due pezzi li trovi qui: «Dio non è quel che credi» «Le sante dello scandalo»
Chi è Lia Celi
Laureata in Lettere classiche per il giornalismo satirico e la scrittura umoristica. Blogger e autrice per radio e televisione, ha scritto per “Cuore”, “Smemoranda”, “Specchio”, “il Fatto Quotidiano” e “Lettera43”, oltre a essersi cimentata nella conduzione televisiva (Celi, mio marito!, Rai3). Tra i suoi libri più recenti, Piccole donne rompono (Rizzoli, 2010) e Corso di sopravvivenza per consumisti in crisi (Laterza, 2012).
Chi è Andrea Santangelo
Laureato in Storia antica, ha lavorato come archeologo, editor e direttore editoriale per case editrici specializzate. Appassionato di storia militare, in questo campo ha al suo attivo una decina di monografie e centinaia di articoli. Tra le sue ultime pubblicazioni: Operazione Compass. La Caporetto del deserto (Salerno, 2012), Facciamo l’Italia (Palabanda Edizioni, 2013).
Che libro è «Mai stati meglio. Guarire da ogni malanno con la storia».
Se fosse un genere musicale sarebbe un crossover. Storia, filosofia, letteratura, medicina, religione, politica, gastronomia, cinema, perfino videogame.
Qualcosa a metà strada tra il saggio storico, il manuale di auto-aiuto, l’esercizio di satira pungente e l’analisi sociologica.
Ironico e serissimo, scorrevole e non banale, saggio e mascalzone, leggero e impegnato, dolce e amaro, lascia sempre il sorriso sulle labbra perfino quando incede un po’ nel gusto dell’orrido.
Da leggere veramente con gusto, prestando attenzione anche all’apparato di note ricchissimo e preziosissimo.
La tesi di fondo appare già nel titolo: l’epoca in cui viviamo è la migliore di tutte quelle fin qui attraversate e il pessimismo disfattista che impera al giorno d’oggi risulta decisamente fuori luogo.
Tutta colpa dei mezzi di comunicazione e del funzionamento del nostro cervello, sostengono i due autori appoggiandosi allo psicologo Pinker: «la mente umana tende a valutare la probabilità di un evento dalla facilità con cui può ricordarne degli esempi, ed è più facile che si imprimano nella nostra mente scene di massacri piuttosto che di persone che muoiono di vecchiaia».
Considerata perciò la quantità di immagini violente e drammatiche che ci raggiungono quotidianamente, non può che nascere una visione del mondo moderno tanto catastrofica quanto deformata rispetto alla realtà delle cose.
Nonostante la rivoluzione digitale ci abbia un poco intontiti e resi dipendenti da computer e smartphone, possiamo proprio dire che non siamo mai stati meglio. Il problema è che non lo so sappiamo. Le guerre sono in calo in tutto il mondo, la medicina fa passi avanti incredibili che solo fino a 100 anni fa avrebbero fatto gridare al miracolo, la globalizzazione sta riducendo la povertà (anche se molto lentamente), comunicare con tutto il mondo è un gioco da ragazzi, viaggiare e spostarsi non è mai stato così facile, leggere di tutto, studiare, e istruirsi presenta difficoltà non più insormontabili. Persino l’attuale crisi economica è nulla se confrontata a quelle del passato. Eppure i media ci martellano allarmano con conflitti, stragi, sciagure, lutti, crimini, paure e fobie di ogni tipo, istillandoci ansie e preoccupazioni che il nostro corpo, delicato ingranaggio di materia ed emozioni, traduce in disturbi tormentosi.
Un’esistenza perennemente sotto assedio da pericoli come mai ne sono esistiti: questo il male immaginario dell’uomo moderno, il quale, nell’ossessione di difendersi da un nemico sopravvalutato, finisce per soffrire di tutta una serie di malattie – vere, queste – di risulta: emicranie, sofferenze gastriche, sofferenze cardiache, psico-patologie, disturbi sessuali, etc.
Ma nell’immensa e sorprendente farmacia chiamata Storia c’è un rimedio mirato per ogni malanno del corpo e dell’anima.
Ecco, secondo i due autori, l’ancora di salvezza: la conoscenza del nostro passato, riletto con un po’ di acume e di sano spirito critico, è una medicina infallibile per liberarsi dal complesso – e suoi derivati – del momento peggiore della storia.
Celi e Santangelo somministrano il farmaco passando in rassegna i mali più diffusi di quest’epoca e dispiegando l’ampiezza di possibilità, di occasioni, di disponibilità del mondo moderno, con l’aiuto di ricostruzioni storiche e associazioni tematiche gustosissime. Un’iniezione, se non proprio di puro ottimismo, almeno di sano e oggettivo realismo.
Per dare un’idea, questi i titoli di alcuni capitoli: «Non aprite quell’aorta. Cardiologia e dintorni», «Casta-enterologia. I disturbi digestivi» «Homo homini morbus: le epidemie». Nel finale c’è persino un ricettario di sane letture alle quali attingere per procedere ulteriormente nell’autoterapia.
Il libro funziona, senza alcun dubbio, anche se va detto che alcune perplessità emergono nel pensare a coloro ai quali l’accesso alle opportunità di questo tempo resta precluso. Ma è vero che ragionare su questo non è l’obiettivo del libro.
Consiglio di leggerlo perchè mi pare stimoli due riflessioni utili anche in una prospettiva credente.
Leggere i segni dei tempi.
Il cristiano è l’uomo della Pasqua, l’uomo della Resurrezione, della Vita contro la morte. Colui che crede, cioè, che nel mondo e nell’umanità è presente un Principio di vita, di bontà, di bellezza, di armonia, un’invincibile forza sanante di misericordia, compassione, pietà, comunione che ha sempre l’ultima parola nella lotta costante contro ciò che gli si oppone.
Dovrebbe essere l’arte tipica del credente, quella di scrutare la storia nei suoi aspetti macro e microscopici per cogliervi la presenza provvidente e salvifica di Dio, per intuire i segni e i tempi del manifestarsi di quel Principio di vita, disponendosi ad assecondarlo e favorirlo in ogni modo possibile.
A volte sembra invece che il pessimismo catastrofico di cui sopra prenda largamente piede proprio negli ambienti cattolici, soprattutto in quelli legati a un’idea di Chiesa potente e imperante nel mondo, i quali, vedendo le istituzioni ecclesiali perdere un po’ di peso, mettono mano alle scialuppe pensando a un inevitabile naufragio.
Ma i confini del Regno vanno ben oltre le istituzioni ecclesiali, perciò val la pena tornare ad aguzzare gli occhi cercandone i segni ed esercitando la virtù della Speranza.
Senso dello humor.
Se c’è una cosa che manca non di rado a chi crede è la capacità di guardare con un sano umorismo la propria fede, il proprio modo di praticarla, le manifestazioni che la accompagnano.
Eppure, persino nella storia biblica non mancano occasioni per ridere.
Non sono buffi gli apostoli che mentre Gesù parla dell’ipocrisia dei farisei come di un cattivo lievito, pensano che li stia rimproverando perchè non han comprato il pane? Non è ridicolo il profeta Giona nel suo goffo e affannato tentativo di fuga da Dio? Non suscita il sorriso vedere i fratelli di Giuseppe ritrovarselo di fronte come governatore d’Egitto dopo aver cercato di farlo fuori? E di esempi così la Bibbia è colma.
C’è del buffo in ogni cosa, anche in quelle più serie e più decisive, e imparare a considerarlo non significa affatto sminuirle o ancor meno svilirle, ma più semplicemente darne una visione complessiva più fedele e realistica.
L’ironia, in modo particolare, con la sua capacità di dire verità con toni lievi, di creare un sano distacco e soprattutto di riportare le cose alla giusta dimensione, è un’arma eccezionale, soprattutto se rivolta contro se stessi e agli aspetti di sè ai quali si tende a dare un’eccessiva importanza e serietà.
E poi, come può essere beato chi non sa ridere di sè?