Aggiornamento del 04.06: visto che mi sono state segnalate alcune letture che fraintendono il senso di questo pezzo, chiarisco che il tema non vuole toccare in alcun modo il rapporto tra credenti e “mondo laico” ma esclusivamente quello tra cattolici su diverse posizioni dentro le comunità cristiane affermando la necessità e la fecondità del confronto aperto e rispettoso. Buona lettura.
Sembra ormai sempre più spesso una questione di tifo da stadio.
Slogan, cori, striscioni, coreografie, fumogeni.
Due o tre argomenti, non di più, spesso superficiali quando non pregiudizali, comunque sempre sparati al massimo volume. Tante, invece, le accuse, le aggressioni verbali, gli insulti.
Contatti? Pochi e spesso violenti, perciò meglio starsene nel proprio settore a parlarsi un po’ addosso, a convincersi della bontà delle proprie posizioni, a studiare qualche azione di disturbo nei confronti della parte avversa.
Tutti convinti di avere l’esclusiva della VERITÀ – rigorosamente scritto in maiuscolo, che si sa, la verità o si grida o non è verità…- , tutti in assoluta e indubitabile buona fede, tutti certi di farlo a favore del “bene comune” – questo in minuscolo e fra virgolette, anche perché a chiederglielo mica sanno bene spiegarti poi cos’è.
Alcuni paiono più pericolosi e aggressivi, altri più miti e non violenti, ma è solo una questione di forma perché la sostanza li accomuna: conta vincere, conta aver ragione, conta dimostrare di essere più forti. Anzi, conta dimostrare che gli altri sono perdenti e perduti.
Solo che nell’arena cattolica i contendenti non sono due, ma decine. Basta una sfumatura, anche solo del colore di un paramento o dell’accento di una parola per fare un gruppo, un’associazione, un movimento. Giusto, siamo cattolici o no? Che cavolo!
Tutti contro tutti, in una specie di Royal Rumble religiosa, al grido di: «Ne resterà solo uno!».
Speriamo di no.
Nel senso, proprio, che speriamo non resti nemmeno un credente che nel tentativo – buono in sé, per carità – di essere ultra-cattolico finisce col trasformarsi in cattolico-ultrà, schiumante di rabbia e con gli occhi iniettati di sangue ogni volta che sente suonare una nota diversa dalla sua.
Io spero che il cattolico-ultrà – inteso, ovviamente, come modo di essere non come persona – si estingua.
Che sostenga una parte o l’altra, che sia tradizionalista o progressista, di destra o di sinistra, che sappia di gregge o di sagrestia, che sia per Francesco o per qualsiasi altro al suo posto, che sia per le aperture o per le chiusure, che apprezzi il Vaticano II o che lo disprezzi, che voglia la famiglia tradizionale o quella multicolor…
Qualunque parte prenda, spero che l’ultrà nella Chiesa si estingua. Anche quello che può esserci in me.
Qualcuno sostiene che oggi non c’è alternativa allo stile tifo da stadio, o meglio, che l’unica possibile sarebbe quella della tiepidezza.
A me sembra l’ennesima auto-giustificazione, tipica di chi, appunto, non vuol sentire altre ragioni che le proprie.
L’alternativa, invece c’è, ed è il godere con riconoscenza del fatto che nella comunità cristiana c’è chi la pensa diversamente da te, guardandolo umilmente come un alleato capace di completare col suo sguardo quella visione della realtà che, altrimenti, in te resterebbe sempre parziale.
Sì, di parte.
Non c’è modo migliore di affermare il Vangelo che viverlo integralmente, seriamente, umilmente e appassionatamente.
Dubito che darsi battaglia nel cortile cattolico così come lo si fa in un Colosseo qualsiasi possa in qualche modo esserlo.
Tanto più se il prendere le parti del Vangelo diventa un tirare il Vangelo dalla propria parte. Facendo di Gesù un capo ultrà.
Alee-oh-oh, Alee-oh-oh.