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La Bottega del Vasaio

Il blog di don Cristiano Mauri. Di Umanità e di Vangelo.

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Chiarimenti necessari in merito al pezzo sull’Espresso.

Giugno 5, 2015 //  by don Cristiano Mauri

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In questi giorni è tornata a circolare in rete un’intervista che ho rilasciato all’Espresso nel mese di settembre 2014, che si collocava all’interno di un dossier fatto dalla testata attorno al Sinodo sulla famiglia.

Vista la quantità di richieste di spiegazioni che sto ricevendo in privato, mi risulta più pratico scrivere un post di chiarimenti.


Due premesse.

1. Il testo non è stato da me rivisto. È nato da una lunga chiacchierata sostanzialmente a ruota libera fatta con la giornalista attorno ad alcune domande generali. Per quanto non ci siano nel testo parole che non abbia detto, la necessaria sintesi e riorganizzazione del materiale per la pubblicazione non ha reso in diversi punti il senso preciso e soprattutto l’obiettivo specifico delle riflessioni fatte e in particolare di alcune mie espressioni. Non intendo con questo sminuire la giornalista, mi pare semplicemente l’inevitabile esito del ridurre in poco un discorso molto ampio.

2. Le mie riflessioni e il taglio generale del discorso erano pastorali e non dottrinali. Cioè il merito non erano le affermazioni magisteriali in quanto tali ma lo stile con cui, come Chiesa intera, ci poniamo nell’annuncio del Vangelo, nell’accompagnamento delle diverse situazioni di vita, nell’affrontare i nodi cruciali di questo tempo.
In ogni caso, ci tengo a precisare che il Magistero è il mio riferimento. Non sono un teologo ma un pastore e non è mio compito né mio impegno riformare la dottrina della Chiesa. Non ho mai insegnato ai miei parrocchiani qualcosa di contrario ad essa, né avuto l’intenzione di smentirne i fondamenti. Ciò non significa che non abbia un cervello per pensare e che non possa ragionare a riguardo, soprattutto sui temi di morale, ancor più sul modo in cui li si comunica. Un conto è rigettare in toto un’affermazione dottrinale, altro è interrogarsi a riguardo per comprenderla, recepirla, approfondirla e magari tradurla in scelte pastorali adeguate.

Cinque precisazioni.

1. Modello di famiglia. Nell’intervista non è stato affrontato il tema del matrimonio gay se non di sfuggita. Nel passaggio in cui chiamo in causa il “modello di famiglia” non mi riferivo in alcun modo a quello. L’idea è questa: trovo problematico e difficile da gestire, dal punto di vista pastorale, il ribadire continuamente i valori familiari cristiani proponendo comunicativamente un’immagine familiare molto definita e unica (famiglia numerosa, in perfetta armonia, una forte condivisione spirituale della coppia, la donna prima di tutto dedicata ai figli, tutti avuti coi metodi naturali, etc…). Non perché non la ritenga significativa o altro, ma perché, viene da molti percepita come “esclusiva” se non escludente. Mi spiego: da pastore raccolgo i vissuti di chi non riesce o non può avere figli, di chi tenta la via dell’adozione ma non ne esce, di chi vive una situazione di separazione, di chi non ha potuto sposarsi, di chi non riesce a condividere un cammino spirituale di coppia intenso per diversità di vedute… E vedo le sofferenze, che già queste situazioni comportano, accompagnate spesso alla sensazione, davanti a quel modello, di essere “fuori posto” nella Chiesa o di non essere stati in grado di adeguarsi all’obbiettivo proposto. È vero che alcuni nelle medesime situazioni questa sensazione non l’avvertono, ma credo che, in generale, una maggior attenzione a una modalità comunicativa più inclusiva non sarebbero male.
Questo era il percorso della riflessione che nel testo così com’è non può emergere.

2. Adozioni Gay. Ho criticato la campagna di Fratelli d’Italia per il metodo. Ritengo frutto di arroganza pregiudiziale affermare, tanto più con un cartellone, che il desiderio dì paternità o maternità in un omosessuale sia necessariamente frutto di un capriccio. La mia esperienza personale mi porta a dire che se in alcuni casi può esserlo, in altrettanti si tratta invece di un desiderio sincero, sofferto e assolutamente comprensibile che va rispettato e non bistrattato. Affermare che non bisogna far di tutta l’erba un fascio, però, è ben diverso dal sostenere le adozioni gay o attaccare chi le contrasta. Avevo usato quell’esempio per dire come uno stile del genere, quando lo si ha come Chiesa – a tutti i livelli – è davvero controproducente e irrispettoso. Ma va riconosciuto che il testo nell’intervista, in effetti, inganna.

3. Dogmi. Non ho affermato che la Chiesa non deve avere dei dogmi. Ho affermato che forse lo stile più adeguato, sempre dal punto di vista pastorale e in modo particolare sulle questioni morali, non mi sembra oggi quello dogmatico. E con questo intendo quell’atteggiamento che tende ad imporre una visione e delle scelte conseguenti, senza alcuna possibilità di dialogo, di mediazione, di discernimento nelle singole situazioni. Mi pare che l’effetto di un simile approccio, oggi, sia più quello di chiudere opportunità di incontro e annuncio piuttosto che aprirle.

4. Giovani e sessualità. Ho affermato che non ha senso parlare con un giovane medio di oggi di esercizio della sessualità prima o dopo il matrimonio, ma nel senso che per la stragrande maggioranza di loro non si pone proprio la questione. Moltissimi hanno una vita sessuale attiva fin dalla prima adolescenza, anzi, dalla preadolescenza. Di quel che la dottrina insegna a riguardo sanno che: «La Chiesa non vuole». Perciò ogni volta che ho preso con loro il discorso da quella parte ho sentito chiudersi la comunicazione nel «Va be’, le solite cose della Chiesa». Ho provato altre volte invece a partire dalle esperienze che già avevano avuto senza dire subito «Hai sbagliato» ma chiedendo cosa era cambiato da lì in poi, se avrebbero rifatto le stesse scelte, se avevano avuto dei criteri nel compierle, etc… Rielaborandole con loro dal punto di vista degli effetti sul vissuto, della coerenza tra gesti e sentimento, della portata di alcuni atti per sé e per l’altro, etc… Ho visto aprirsi la comunicazione e la disponibilità a incamminarsi su una via di maggior responsabilità. Che è, in ogni caso, la direzione dell’insegnamento della Chiesa, seppur in forma parziale.

5. Gradualità. Proporre cammini graduali di fede non significa annacquare il messaggio evangelico, solo accompagnare le persone indicando mete progressive per vivere da subito la fedeltà alla parola di Cristo. Si chiama carità e compassione nei confronti di chi ha bisogno di tempo e pazienza per crescere nella fede. Si tratta non di gradualizzare “la legge”, ma di praticare la “legge della gradualità” che rispetti i tempi e modi delle diverse persone. Se uno non ha mai detto una preghiera in vita sua posso anche proporgli di pregare 5 ore al giorno. Magari qualcuno ce la fa. La maggior parte però non ce la farà e sarà più intelligente proporgli 5 minuti per cominciare, poi dieci, venti…

Ritengo queste precisazioni più che esaustive. E non aggiungerò altro.


Concludo dicendo che ho toccato con mano in questi giorni, soprattutto in rete, una impressionante quantità di odio e di livore presente in tanti cattolici, che viene regolarmente scaricata con violenza inaudita su chi sembra avere posizioni anche solo leggermente differenti, tanto più se parte della stessa Chiesa.

Una quantità e qualità d’odio impressionanti, veramente impressionanti. Soprattutto perché in aperto e radicale contrasto col messaggio evangelico. E a tirare in ballo l’esempio di Gesù che scaccia i mercanti dal Tempio, come ho visto più volte fare, ci andrei davvero piano.

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