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La Bottega del Vasaio

Il blog di don Cristiano Mauri. Di Umanità e di Vangelo.

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«La Gioia di essere conquistati». La Lettera ai Filippesi (parte quarta)

Marzo 5, 2020 //  by don Cristiano Mauri

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Quarto di una serie di cinque interventi sul tema della Gioia cristiana a partire dal testo della lettera di Paolo alla Chiesa di Filippi.
La serie è proposta all’interno della settimana di esercizi spirituali quaresimali della Comunità Pastorale Madonna del Rosario in Lecco.

Le precedenti meditazioni si possono trovare qui:

La Gioia che viene da Dio

La Gioia nella tribolazione

Gioire e con-gioire


 

GUARDA L’INTERVENTO:

 

 


 

Lectio del testo di Fil 3, 1b-4, 1.

Il testo di oggi è quello che, in tutta la lettera, contiene meno riferimenti espliciti al tema della gioia. Solo nel finale l’Apostolo torna a chiamarla in causa come attributo diretto dei suoi compagni di Filippi: «Fratelli miei amati e desiderati, mia gioia e corona», ma non ci soffermeremo su questo.

Andremo alla ricerca, piuttosto, di una sottile linea di pacificazione profonda, di riconciliazione con se stesso e con la propria storia che attraversa tutto il brano di oggi e che è la sostanza più vera della Gioia cristiana.

Nel testo in esame, infatti, Paolo ripercorre la propria storia mostrando come sia stata completamente ribaltata dall’incontro con Cristo.

Come quest’ultimo l’abbia costretto a rivedere ogni giudizio su di sé e su ciò che davvero contava e come il correre verso il Signore sia diventato per lui un criterio capace di armonizzare tutti gli aspetti della propria vita.

A partire da questo Paolo si propone come esempio, non in virtù di una speciale autorità, ma a partire dal suo «essere in Cristo», dalla sua intimità con il Signore.

Anche i Filippesi, nella prova e nel loro essere minoranza religiosa e politica, dovranno come Paolo abbandonare ciò che non è essenziale, concentrandosi su quel che davvero dà sostanza. Così troveranno consolazione.

1Scrivere a voi le stesse cose, a me non pesa e a voi dà sicurezza. 2 Guardatevi dai cani, guardatevi dai cattivi operai, guardatevi da quelli che si fanno mutilare! 3 I veri circoncisi siamo noi, che celebriamo il culto mossi dallo Spirito di Dio e ci vantiamo in Cristo Gesù senza porre fiducia nella carne, 4 sebbene anche in essa io possa confidare.

Se qualcuno ritiene di poter avere fiducia nella carne, io più di lui: 5 circonciso all’età di otto giorni, della stirpe d’Israele, della tribù di Beniamino, Ebreo figlio di Ebrei; quanto alla Legge, fariseo; 6 quanto allo zelo, persecutore della Chiesa; quanto alla giustizia che deriva dall’osservanza della Legge, irreprensibile. 7 Ma queste cose, che per me erano guadagni, io le ho considerate una perdita a motivo di Cristo. 8 Anzi, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo 9 ed essere trovato in lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede: 10 perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, 11 nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti. 12 Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù. 13 Fratelli, io non ritengo ancora di averla conquistata. So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, 14 corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù. 15 Tutti noi, che siamo perfetti, dobbiamo avere questi sentimenti; se in qualche cosa pensate diversamente, Dio vi illuminerà anche su questo. 16 Intanto, dal punto a cui siamo arrivati, insieme procediamo.

17 Fratelli, fatevi insieme miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo l’esempio che avete in noi. 18 Perché molti – ve l’ho già detto più volte e ora, con le lacrime agli occhi, ve lo ripeto – si comportano da nemici della croce di Cristo. 19 La loro sorte finale sarà la perdizione, il ventre è il loro dio. Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra. 20 La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, 21 il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose.
1 Perciò, fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete in questo modo saldi nel Signore, carissimi!

La messa in guardia (vv. 1-4)

Nella prima parte del brano, Paolo si preoccupa di formulare un avvertimento molto forte, per certi aspetti persino violento nei toni, che consiste in una messa in guardia.

Nella sostanza, invita i Filippesi a tenere le distanze e a disinteressarsi di un certo genere di persone, preparando poi il terreno all’elogio di sé che farà nei versetti successivi.

L’Apostolo sa che non è cosa particolarmente elegante auto-elogiarsi e discreditare altri e certamente il suo atteggiamento rischia di risultare odioso o, quantomeno, di essere frainteso.

Dunque mette le mani avanti, facendo precedere il tutto da un piccolo avvertimento nel quale dice chiaramente come ciò che sta per fare a lui non costa poi molto, ma soprattutto affermando che le sue parole sono mosse esclusivamente dal desiderio di rassicurare e rafforzare la fede dei suoi fratelli.

Agli avversari dei Filippesi, Paolo riserva espressioni severe. Li chiama «cani» (animale considerato impuro poiché si nutriva di carogne) come spesso si faceva coi pagani; li accusa di essere operai dediti al male, cioè che si oppongono a Cristo e infine accenna alla pratica delle mutilazioni rituali tipiche del mondo pagano.

Benché non sia chiarissimo di chi si tratti (forse predicatori cristiani di origine giudaica), Paolo li paragona nella sostanza a dei pagani che nulla hanno a che fare con il Vangelo di Cristo, anzi, in questo caso, che si fanno nemici della Croce di Cristo, come dirà al v. 18.

La loro azione stava confondendo i Filippesi che, probabilmente, rischiavano di farsi sedurre dalle loro azioni, cominciando a confidare in altro che non fosse la parola di Gesù.

Paolo chiarisce dunque che non sono quelli i veri alleati del Signore, bensì i Filippesi, insieme al loro Apostolo. Lo afferma con l’immagine della circoncisione, cioè il segno della alleanza e della appartenenza a Dio: i veri circoncisi sono loro.

Ciò in virtù di tre elementi: il loro servizio a Dio è mosso dallo Spirito; il loro unico vanto sta in Cristo e in ciò che Lui realizza in loro; infine, non pongono fiducia nella «carne», da intendersi qui come tutto ciò che induce in qualche modo a non affidarsi al Vangelo di Cristo.

E per rafforzare il concetto, Paolo fa notare come avrebbe ben di che vantarsi se prendesse in considerazione altro dalla fede in Gesù: le sue credenziali sono solidissime e, per evidenziare il contrasto con la scelta per il Vangelo, non teme di elencarle, per poi prendere le distanze.

L’autoelogio di Paolo (vv. 5-16)

L’Apostolo snocciola in rapida sequenza tutte le possibili ragioni di vanto, offrendoci un autoritratto da Giudeo purosangue, fariseo impeccabile nell’osservanza della Legge e persecutore dei cristiani.

Chi più di lui potrebbe rivendicare credito a riguardo? Chi più di lui potrebbe gioire di un curriculum così impeccabile? Avrebbe ben ragione di trarre consolazione e letizia da tutto ciò, invece no.

L’Apostolo afferma con forza che in tutto ciò non c’è più per lui alcuna gioia, anzi. La sua beatitudine ha tutt’altra sorgente.

La scoperta di quella Sorgente di vita piena e di gioia l’ha condotto a ribaltare completamente i criteri di valore, le priorità, le definizioni di ciò che è essenziale. Quella Sorgente nuova a cui Paolo ha trovato di che dissetarsi e che ha cambiato le coordinate della sua esistenza è Gesù.

L’incontro con lui lo ha portato in un nuovo sistema di riferimento: «Le cose che erano per me un guadagno, queste ho considerate a causa di Cristo una perdita». Non c’è stravolgimento più radicale: ciò che era positivo diventa negativo, il guadagno una perdita, il tesoro una spazzatura.

Im che senso tutto ciò? Qual è il tesoro scoperto e cosa diventa spazzatura?

Paolo vede in Gesù qualcosa che mai prima avrebbe immaginato: ciò che salva è l’Amore di Dio nel suo Figlio. Ecco il tesoro. Il merito più grande che abbiamo è di essere amati.

Un merito non guadagnato, un merito che arriva come dono, un merito che non fa differenze e discriminazioni, un merito che è dato a chiunque voglia accoglierlo, un merito che nessuno può temere di perdere perché è nelle mani di un Altro.

La Croce e la Resurrezione hanno mostrato a Paolo che davanti a Dio non si è degni d’amore per la propria appartenenza ad Israele, per la propria circoncisione, per la fedeltà alla Legge o per qualsiasi altro motivo. Lo si è solo per volontà sua e nessuno è chiamato a garantirsi il Suo amore, piuttosto ad accoglierlo per mezzo della fede.

Paolo scopre la bellezza non di dimostrarsi giusto, ma di essere “fatto giusto” dall’amore di Dio. Consegnare la propria vita al Vangelo fino a condividere la sorte di Cristo è per lui il modo concreto per dire la propria fede e per giungere alla beatitudine eterna.

Ecco la gioia dell’Apostolo: non è quella di una conquista, ma quella di essere stato conquistato.

In tutto questo non si ritiene perfetto e arrivato, anzi. Ancora manca molto al completamento del suo cammino. Perciò continua la sua corsa verso Cristo, libero dal suo passato, senza essere costretto a voltarsi indietro, ma tenendo lo sguardo fisso sulla meta.

E sembra di sentire come si tratti non di una corsa carica di affanno, di ansia da prestazione, di fascino per il record, o appesantita dal pensiero che tutto dipende da lui.

Sembra una corsa sull’onda della gioia, come quella di chi corre incontro all’amato senza altro obiettivo che incontrarlo.

Perciò, dice Paolo, tutti dovremmo valutare così le cose, facendo dell’amore di Dio la lente da cui guardare la realtà.

L’invito all’imitazione (vv. 3, 17-4, 1)

Ecco, che, in virtù del suo profondo legame di unione con Cristo, l’Apostolo può dire ai suoi di Filippi: imitatemi, imitate me e tutti coloro che come me amano Cristo.

Come il brano si era aperto con una messa in guardia, anche nel finale c’è un avvertimento che stavolta l’Apostolo pronuncia tra le lacrime.

Ci sono alcuni che sono nemici della Croce di Cristo, pensano solo a cose terrene, si fanno vanto dei loro comportamenti vergognosi, lasciano che sia il loro ventre, le loro passioni a dominarli senza discernimento alcuno.

Da questi, dice ai Filippesi, occorre guardarsi con attenzione, perché la loro strada non conduce a vivere una vita piena ma alla perdita di sé, del proprio valore, e del futuro promesso.

Dunque occorre stare ben saldi nel Signore, ricordando sempre che si è anzitutto «cittadini del cielo», cioè che si è chiamati a vivere una vita alta e piena e che Dio non ha altro desiderio che farsi nostro alleato nel cercare la gioia, tanto che perfino il nostro corpo sarà un giorno conformato al corpo glorioso di Cristo.

Quale gioia?

  1. La gioia dello “scartare” e del de-cidere.
    Paolo dà un taglio con il suo passato. Non lo nega, anzi dice che per certi aspetti potrebbe pure essere motivo di orgoglio, ma rispetto ad esso ha preso una decisione.

    Non è stata l’unica occasione. La scelta per il Vangelo ha comportato per Paolo una quantità di decisioni, di tagli. Con persone, situazioni, aspettative, progetti. Non necessariamente negativi in termini assoluti.

    Ogni decisione, anche in senso etimologico, indica una rottura, ci si sgancia da qualcosa, lo si lascia andare e si procede per un’altra strada.
    A volte lo si fa volentieri, altre a malincuore, specialmente se si è costretti a scartare qualcosa cui si è legati.

    È difficile associare la gioia piena all’esperienza del lasciare andare, dello scartare, del tagliare. Anzi, spesso sembra che aver dovuto perdere qualcosa per una scelta fatta non consenta nemmeno di godere appieno quel che si è scelto.

    Paolo dice qualcosa di controintuitivo: la gioia cristiana ha a che fare con un processo di semplificazione, di taglio, di decisione. Un processo che conduce all’essenziale e sa togliere anche ciò che, pur non essendo negativo, può comunque costituire un peso, un ostacolo.

    Una provocazione da raccogliere. Non ci servono privazioni inutili o sacrifici fini a se stessi o rinunce che lasciano il tempo che trovano. Occorre avere il coraggio di de-cidere secondo il Vangelo. Ciò che cadrà lascerà spazio alla Gioia che viene da Dio.
  2. Riprendiamo senza bisogno di approfondire oltre quest’idea già accennata sopra: la corsa di Paolo verso Cristo è una corsa che profuma di gioia, non quella gioia che accompagna la conquista, il raggiungimento di un traguardo personale, una dimostrazione di forza e di capacità.

    Anche quella è una gioia bella, ma qui c’è di più: la Gioia cristiana non è quella di chi conquista ma di chi si sente conquistato, non è quella di chi raggiunge ma di chi si sente raggiunto.
    E anche questo è un metro interessante per misurare le nostre gioie, personali e comunitarie.
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