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Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore». Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: "Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato". Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: "Non è costui il figlio di Giuseppe?". Ma egli rispose loro: "Certamente voi mi citerete questo proverbio: "Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!"". Poi aggiunse: "In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro". All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino. (Lc 4, 16-30)
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Inquadramento del brano.
Il contesto prossimo del brano in esame è il cosiddetto “trittico sinottico”, la tripletta di brani presente contemporaneamente nei tre Vangeli, composta dalla predicazione del Battista, il Battesimo di Gesù, le tentazioni di Gesù nel deserto.
È un contesto nel quale l’evangelista Lc fa emergere con forza tre grandi linee tematiche che affronterà poi nel corso del suo scritto: il ruolo determinante dello Spirito nell’esistenza di Gesù; il tema dell’identità di Cristo; la traduzione di quell’identità in una forma di relazione con le cose, con gli altri con Dio.
(Una più approfondita introduzione al contesto si può trovare nella lectio precedente a questa: «L’amore tentato»)
Il racconto del discorso nella sinagoga di Nazaret in effetti è un discorso che ha al centro esattamente l’identità di Gesù e il suo modo di tradurla impostando uno stile specifico di relazione.
La premessa immediata invece è questa: «Gesù torno in Galilea nella potenza dello Spirito. La sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe glorificato da tutti» (Lc 4, 14-15).
La Galilea era il luogo in cui era già abituato a tornare fin da bambino ogni volta che le circostanze lo portavano lontano.
È casa sua, e la casa è il luogo delle radici, la sorgente di quel patrimonio di valori, tradizioni, affetti, ricordi, riferimenti che poi ci si porta ovunque. La casa è dunque il luogo dell’identità e in cui si torna anche per ritrovarsi, magari solo con la memoria.
Ma ora è diverso. Torna in un modo totalmente nuovo e in una forma che è appena stata inaugurata. Il Battesimo e le tentazioni hanno segnato un passaggio. Sono state una prova che l’ha introdotto in un tempo differente. Il discorso in sinagoga, dunque, è di carattere programmatico ed è suggestivo che Lc utilizzi l’espressione: «Gesù cominciò a dire…».
Di più ancora, sulla scorta del contesto descritto, possiamo già anticipare che ciò che Gesù fa non è una generica dichiarazione di intenti, bensì una vera assunzione di identità. Egli si mostra per ciò che è attraverso un’affermazione che ha le caratteristiche dello spogliamento: Gesù si mette a nudo in un vero gesto di trasparenza.
Curioso che proprio nel mettersi a nudo nasca un’incomprensione con i suoi compaesani. D’altronde è esperienza comune che non basta spogliarsi per togliere i malintesi o per creare le condizioni della perfetta comprensione.
Torna nello Spirito. Dunque un tornare che è in continuità con ciò che è accaduto. Quel che sta per avvenire non può che essere un’ulteriore esplicitazione di ciò che si è accennato, dell’identità compresa, della scelta fatta al Giordano, della lotta contro il tentatore.
Si dice che Gesù insegna. Anzitutto insegna senza dire cosa. L’episodio delle tentazioni ci indica una possibilità: la Parola. Gesù insegna la Parola perché genera, sana, consola, illumina, Lui per primo. Gesù si dirà medico e Lc lo presenta così: la Parola è uno strumento di guarigione.
Chi non ha la Parola muore, come chi non ha il pane. La Parola insegnata male fa male, ed è usata anche da Colui che è il Male, Gesù insegna per liberare da questo. Perciò va nelle sinagoghe, il luogo della Legge e dei Profeti. Dove si interpreta la Scrittura, la si commenta, la si traduce e la si attualizza.
Viene «glorificato» in questo suo impegno, termine usato da Lc principalmente per indicare la lode che si riserva a Dio… Dunque comincia bene, molto bene. Quasi con un segnale di riconoscimento della divinità del Suo parlare.
Le premesse non sembrano essere quelle di un fallimento. Piuttosto sembrerebbe il contrario. Su questo scenario Luca costruisce un brano che raccoglie in sintesi tanto la dinamica che seguirà la vicenda di Gesù in rapporto al popolo, quanto i temi che caratterizzeranno la sua predicazione e la sua azione.
Lectio
16Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere.
Lc fa cominciare il ministero di Gesù dal paesino in cui è cresciuto per via della continuità con i Vangeli dell’infanzia. Letteralmente si dice «dove era stato nutrito» che dà alla frase un senso molto bello se poi consideriamo subito il riferimento alla sinagoga, altro luogo in cui Gesù è stato nutrito del cibo della Scrittura.
Sullo sfondo, come in trasparenza, tutto il percorso di incarnazione, crescita, inserimento dentro al popolo di Israele compiuto da Gesù. Che però, ora, senza rinnegare la crescita percorsa e dunque restando in continuità con la sua gente, introduce degli elementi di novità.
Entra di sabato che è il giorno del Signore, il giorno del compimento del creato, il giorno della liberazione dalla schiavitù in tutte le sue forme, il giorno del riposo e della pienezza, il giorno in cui si gode la ricchezza del creato nella sua gratuità, il giorno in cui si torna alla Sorgente da cui ogni cosa proviene.
17Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: «18Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, 19a proclamare l’anno di grazia del Signore». 20Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui.
Gesù si alza per leggere, come era possibile fare e come la liturgia sinagoga prevedeva, con la lettura di brano della Torah e uno dei profeti, con i commenti annessi.
Lc ci fa guardare la scena al ralenti, descrivendo ogni singolo gesto: alzarsi, prendere, srotolare, riavvolgere, consegnare, sedersi. In mezzo sta il testo in tutta la sua forza. Testo che non viene letto da Gesù, ma che pare proclamarsi da solo (la lettura è sottintesa) dando l’impressione di una sorta di dialogo in atto tra la parola di Isaia e quella di Gesù.
Cerca il brano o lo trova per caso? Difficile da dirsi, per quanto il verbo che Lc usa nel contesto in cui è inserito indica più un ritrovamento casuale. Indipendentemente da ciò, quel che conta è che Gesù è «nello Spirito», dunque quel testo si posiziona certamente dentro la potenza che sta accompagnando Gesù facendosene strumento.
Di che testo si tratta? Un mix di Is 61 e di Is 58, una rielaborazione cristiana che Luca costruisce ad arte per anticipare i temi che saranno tipici dell’agire di Gesù e trascurando quelli che non gli appartengono. Omette, in particolare «un giorno di vendetta…», aggiunge «inviare gli oppressi alla liberazione», inserisce il verbo tecnico dell’annuncio cristiano.
Il testo è scelto e costruito in stretta sintonia con ciò che è appena accaduto (il Battesimo e l’immersione di Gesù nello Spirito) e ciò che accadrà (ministero) e ce ne dà una chiave interpretativa. Lo Spirito che accompagna Gesù lo consacra come in una vera unzione, in virtù di ciò il suo agire è piena volontà di Dio e perfetta manifestazione del suo volto.
Di che agire si tratta?
Anzitutto è una attività di annuncio di buona notizia rivolta ai poveri. Il riscatto avviene anzitutto attraverso una parola che ribalta una situazione, che la dichiara iniqua, non accettabile e prossima ad essere sovvertita. Che la prima delle azioni dell’Inviato dal cielo indichi la predilezione per i poveri dà a tutto il suo compito una prospettiva ben definita.
In seconda battuta, si tratta di un’opera di liberazione vera e propria. Una liberazione che procede anzitutto dalla Parola che rende già presente ed efficace il Regno. La Parola che libera dalla cecità, dalle false dottrine, dai lacci del tentatore, dalla mancanza di senso, dal disorientamento, dalla confusione, dall’errore.
E poi una liberazione che «invia nella libertà» chi è fatto a pezzi da un debito o chi è tenuto sotto pressione dalla necessità di un riscatto. Un invio che viene indicato con il verbo proprio dell’apostolato, a dire che in quell’andare liberi, sciogliendo ciò che schiaccia e frantuma l’uomo, c’è tutta la forza dell’annuncio cristiano.
Ciò che inizia è un «tempo di grazia».
Gli occhi fissi legano con forza il commento di Gesù al testo di Isaia.
21Allora cominciò a dire loro: "Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato". 22Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: "Non è costui il figlio di Giuseppe?".
Suggestivo questo «cominciare a dire». L’incipit del discorso di Gesù sta in questo testo. L’insegnamento di Gesù prende le mosse da qui. C’è qualcosa che nasce di innovativo e inaspettato. Nel suo annuncio si rende presente il Regno. C’è l’inizio di un compimento.
Quello di Gesù non è un commento alla parola. Nessuna predica, nessun insegnamento particolare. Si tratta di una dichiarazione o piuttosto una attualizzazione. Quel verso di Isaia è giunto al colmo del suo senso e del suo significato, in quel momento e in quel luogo.
Il compiersi di quella profezie è Gesù stesso. Nel suo essere uomo, Figlio, fratello accade l’annuncio, la liberazione, la salvezza. Le sue parole e i suoi gesti sono e saranno trasparenza di quell’agire salvifico di Dio a favore di tutti.
Gesù si riconosce in quelle parole. Si comprende in quella Parola. Comprende con la propria esistenza quella Parola e sente che la Scrittura comprende l’esistenza sua e quella degli altri in rapporto con Lui. Gesù trova un principio di comprensione dentro la Scrittura, come già era emerso nelle tentazioni.
Il suo modo di amare e di relazionarsi trova senso non nel riscontro, nell’accettazione altrui, nell’andare a buon fine del suo agire, piuttosto nel cercare quell’autenticità che è la Parola a indicargli. Con questo spostamento del centro delle sue relazioni, Gesù non sarà mai, così, un incompreso.
Allo stesso tempo, quella Scrittura si compie «nelle loro orecchie». È nell’ascolto e nell’accoglienza da parte di ciascuno di quell’annuncio di grazia che esso accade e si realizza.
C’è meraviglia e gli rendono testimonianza: l’accoglienza dunque è positiva, non ci sono cenni di ostilità. Le parole stesso di Gesù vengono colte come parole di grazia, quindi come espressioni autentiche e da rifarsi a Dio. Oltretutto lo stupore in Lc è quello tipico di quando si sta davanti a un evento soprannaturale che non si comprende.
Il riferimento al padre di Gesù indica l’incapacità di cogliere il nesso tra il divino e l’incarnato da perte dei compaesani. L’ordinarietà del figlio di Giuseppe resta per loro incompatibile con la grazia che esce dalla sue parole e i nazaretani sembrano incapaci di tenere insieme le due cose.
La reazione è positiva ma con tutta la fatica ad accettare la possibilità che la carne di un compaesano sia il tempio della presenza di Dio. C’è qualcosa di Gesù che non riescono ad afferrare e ad accettare. E come possono entrare in relazione con uno che non riconoscono più? Quando non si sa chi è l’altro prevale la diffidenza e l’amore difficilmente si stabilisce.
Ma l’incomprensione dei compaesani non è una fine della relazione tra loro e Gesù. La Parola in cui Gesù si sente compreso e comprende il proprio modo di stare di fronte all’altro custodisce la possibilità di restare dentro il legame con i nazaretani, per quanto faticoso.
23Ma egli rispose loro: "Certamente voi mi citerete questo proverbio: "Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!"". 24Poi aggiunse: "In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. 25Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; 26ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. 27C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro".28All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. 29Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. 30Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
Con un proverbio e due citazioni è Gesù a scatenare la reazione della gente che, fino a quel momento, sembra averlo accolto con favore, Lui e le sue parole. Sono espressioni che chiamano in causa il rifiuto, la mancata accoglienza, la necessità di andare altrove, la volontà di Dio riguardo l’allargamento dell’orizzonte di salvezza al di là di Israele.
Ma davvero Gesù provoca? E a quale scopo? Peraltro Mc si afferma l’impossibilità da parte di Gesù di compiere miracoli per l’incredulità della gente, qui invece sembra esserci la richiesta. Perché Gesù si rifiuta?
Si può pensare che Lc sottintenda la volontà da parte dei Nazaretani di trattenere per sé Gesù e dunque la reazione di quest’ultimo, con il proverbio e le citazioni, sarebbe il segno di voler affermare il contrario: deve andare, restare in cammino, raggiungere molti.
D’altra parte quell’andare altrove e l’annuncio al mondo pagano devono ancora accadere, come anche le guarigioni in Cafarnao. Sembra che Gesù parli - e provochi - di cose che ancora non sono avvenute. A tutto ciò la gente replica con uno sdegno fuori proporzione. Il tutto sembra dunque avere carattere letterario e teologico.
Inoltre Lc inserisce l’agire sanante di Gesù dentro il quadro dell’annuncio di salvezza, perché si comprenda che i miracoli non sono dimostrazioni, ma parola di salvezza in atto.
Il proverbio sul profeta serve a Lc per fondare la necessità di andare altrove del profeta come volontà di Dio; non allude tanto all’insuccesso del profeta quanto alla necessità che estenda il suo agire oltre la patria.
Tutto ciò ci spinge a pensare che Lc costruisce un racconto utile al lettore per comprendere nel prosieguo il motivo del continuo andare di Gesù, il senso dell’annunziare la Buona Novella, il significato degli eventi pasquali, il cammino della Chiesa primitiva.
Meditatio
«La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d'orgoglio.» (1Cor 13, 4)
«Essere pazienti non significa lasciare che ci maltrattino continuamente, o tollerare aggressioni fisiche, o permettere che ci trattino come oggetti. Il problema si pone quando pretendiamo che le relazioni siano idilliache o che le persone siano perfette, o quando ci collochiamo al centro e aspettiamo unicamente che si faccia la nostra volontà.» (AL 92)
1. È importante la domanda: ma cosa significa sentirsi compresi e in quale misura, da chi, come, quanto, perché dovrei sentirmi compreso? Colpisce come Gesù si comprende nella Parola, che Gesù è compreso dallo Spirito, che non si comporta come un incompreso.
Anzi, semplicemente constata che la “misura” di ciò che Lui è supera di molto la capacità dei Nazaretani. Eppure non è questo a limitare la sua intenzione di relazione. Gesù non va via da Nazaret perché “fa l’incompreso” o perché sbatte la porta, ma perché in quel passare c’è tutto il suo andare oltre, anche l’incomprensione.
2. Può capitare di stare dalla parte di chi non comprende l’altro. È utile e costruttivo provare a riflettere sul modo in cui affrontiamo la cosa. Quali sono le domande che ci poniamo? Che posizioni prendiamo? Quali sentimenti prevalgono in noi? Come tendiamo a risolvere la situazione? Che riflesso ha sulle altre relazioni?.
3. La grandezza d’animo di Gesù è manifestata da un andare oltre che lo caratterizza fortemente. C’è da riflettere se non si trovi in questo il segreto della “magnanimità”. Non si tratta, ovviamente, di indifferenza o di un banale “passare sopra” alle cose. Bensì del rifiuto di lasciarsi sequestrare da una singola circostanza e della volontà di aprire possibilità laddove sembra raggiunto capolinea.
Contemplatio
Posso fermarmi a contemplare un Dio che libera, che scioglie e che solleva.
Posso sostare gustando il dono di una Parola che mi comprende, nella quale mi sento compreso e che mi offre l’opportunità di potere comprendere.
Posso adorare la larghezza di cuore di un Dio che sa passare oltre le mie resistenze e le mie difficoltà ad accoglierlo.