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«Chi non odia perfino la propria vita non può essere mio discepolo». Lectio di Lc 14, 15-35
Questa Lectio è stata proposta all'interno di un percorso di Lectio continua del Vangelo di Luca presso la fraternità di Casa Nicodemo a Pagnano di Merate (LC).
Uno dei commensali, avendo udito questo, gli disse: "Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!". Gli rispose: "Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. All'ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: "Venite, è pronto". Ma tutti, uno dopo l'altro, cominciarono a scusarsi. Il primo gli disse: "Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego di scusarmi". Un altro disse: "Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego di scusarmi". Un altro disse: "Mi sono appena sposato e perciò non posso venire". Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al suo padrone. Allora il padrone di casa, adirato, disse al servo: "Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi". Il servo disse: "Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c'è ancora posto". Il padrone allora disse al servo: "Esci per le strade e lungo le siepi e costringili ad entrare, perché la mia casa si riempia. Perché io vi dico: nessuno di quelli che erano stati invitati gusterà la mia cena"".
Una folla numerosa andava con lui. Egli si voltò e disse loro: "Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: "Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro". Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l'altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.
Buona cosa è il sale, ma se anche il sale perde il sapore, con che cosa verrà salato? Non serve né per la terra né per il concime e così lo buttano via. Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti".
ASCOLTA L’INTERVENTO:
BIBLIOGRAFIA.
Bovon, Francois Vangelo di Luca, Brescia, Paideia, 2005.
Rossè, Gerard Vangelo di Luca, Roma, Città Nuova, 2006.
Da Spinetoli, Ortensio Luca, Assisi, Cittadella, 1999.
Contesto.
All’interno del lungo viaggio di Gesù verso Gerusalemme, troviamo nella sezione 14, 1 - 17, 10, una raccolta di insegnamenti tra i cui destinatari si alternano i discepoli, i farisei e gli scribi, la folla che segue Gesù.
A scribi e farisei vengono riservati insegnamenti sul sabato, sulla ricerca dei primi posti, sul privilegiare i poveri e la necessità di accogliere l’invito al Regno; poi ancora le parabole della misericordia, un richiamo circa l’ipocrisia del ritenersi giusti e la parabola del povero Lazzaro.
Alla folla Gesù spiega la necessità di essere disponibili a rinunciare a ciò che si ha di più caro per essere suoi seguaci.
Ai discepoli viene raccontata la parabola dell’amministratore scaltro e spiegata l’importanza del buon uso delle ricchezze, a cui sono aggiunti poi gli insegnamenti circa gli scandali, il perdono, la fede, il servizio.
Nei versetti che commentiamo troviamo insegnamenti rivolti ai farisei e alla folla.
La parabola degli invitati scortesi. (vv. 15-24)
Gesù si trova nella casa di uno dei capi dei farisei, invitato per il pranzo che normalmente seguiva la preghiera in sinagoga. L’atmosfera non è tranquilla: i farisei lo tengono d’occhio attendendo un qualsiasi passo falso per poterlo attaccare.
Nonostante il clima sfavorevole, Gesù non si sottrae dall’offrire loro un insegnamento riguardante la legge del sabato, accompagnandolo alla guarigione di un idropico presente al pranzo.
Cogliendo poi l’occasione del pasto, propone un breve discorso in parabole, la prima delle quali riguardante la ricerca dei posti d’onore durante i banchetti, mentre la seconda riferita al tema della gratuità.
A far da gancio con la prima parte del pranzo in casa del fariseo c’è l’esclamazione di uno dei commensali, che riprende una beatitudine tradizionale il cui sottinteso, essendo lui parte dell’élite di Israele, è quello di considerarsi proprio uno di quei beati.
È lo spunto che serve a Gesù per raccontare una nuova parabola, che parla di una festa, di invitati maleducati, di poveri beneficati.
Un uomo - non si tratta di un re stavolta ma di un probabile benestante - indice un grande ricevimento, senza apparente motivo se non quello di far festa.
In occasione dei banchetti, era usanza della aristocrazia orientale diramare per mezzo di servi preposti degli inviti in forma scritta privata. A coloro che accettavano l’invito veniva poi fatto un “richiamo orale”, a ridosso dell’evento, sempre inviando la servitù.
Molti giorni separavano l’invito ufficiale dal richiamo dei servi, ma questa seconda chiamata era comunque considerata pura formalità e cortesia perché, una volta accettato il primo invito, la partecipazione era data quasi scontata.
Un rifiuto, con annesse giustificazioni e scuse, andava presentato in prima istanza, immediatamente a seguito dell’invito scritto. Farlo al passaggio dei servi era gesto offensivo e di grande mancanza di educazione.
Le scuse risultano, ovviamente, pretestuose. Ripropongono, forse, le ragioni considerate valide per non partecipare alle guerre, dunque totalmente fuori luogo.
Sullo sfondo della parabola, sembra esserci un brano del capitolo 1 del profeta Sofonia nel quale troviamo una forte accusa rivolta ai capi di Israele che hanno smesso di occuparsi di Dio e del suo popolo.
La parabola critica con tutta probabilità una certa concezione dell’elezione di Israele. Gli amici del padrone di casa ricordano certe guide del popolo con la loro presunzione di salvezza.
Dal rifiuto in avanti, il campo narrativo è occupato dalla coppia padrone-servo, coi dialoghi e le azioni correlate.
Il padrone di casa è preso dalla collera: il rifiuto degli invitati lo colpisce personalmente e direttamente. Ma la situazione va in qualche modo risolta e anche alla svelta.
La decisione è presa: la casa va riempita in un modo o nell’altro. L’attenzione viene rivolta ai miseri, dispiegati in un elenco che corrisponde perfettamente a quello proposto nella precedente parabola (v.13): i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi.
Di nuovo risuona forte l’annuncio della destinazione ai poveri del Regno di Dio. Sembra, poi, che per questi ultimi ci sia sempre posto e che nessuno di essi debba rischiare di restare escluso. Pur avendo raccolto molti ospiti rimangono ancora dei posti liberi.
La constatazione dei posti rimasti spinge il padrone ad inviare di nuovo il suo servo, invitandolo ad usare perfino la forza, non da intendersi come coercizione ma come la dolce e cordiale insistenza di chi vuol convincere un ospite esitante.
La conclusione porta con sé un po’ di amaro. Nel fatto che i primi invitati restino fuori, però, non possiamo e non dobbiamo leggere una soddisfazione vendicativa, bensì la constatazione sofferta di una scelta dannosa e insensata.
Chi non odia… (vv. 25-27)
Concluso il banchetto in casa del fariseo, Gesù riprende il cammino verso Gerusalemme e la camminata collettiva diventa l’occasione per proseguire la sua attività di insegnamento.
Si rivolge ora alle folle, che non hanno ancora compreso che cosa comporti la sequela di Gesù e che risvolti abbia la scelta di essere suoi discepoli.
La sua descrizione della vita del discepolo è spiazzante e paradossale: colui che insegna l’amore qui invita all’odio, dopo aver chiesto di seguirlo senza esitazioni ora invita a sedersi per ponderare, mentre invita ad ascoltare usa paragoni oscuri e poco comprensibili.
Alla gente che cammina con Lui, Gesù dichiara che non è sufficiente farlo, occorre una scelta più radicale di rottura con il proprio passato e con la propria vita. La dedizione a Lui chiede di essere assoluta, senza compromessi o mezze misure.
La richiesta è sconcertante e perfino indigna per l’uso del verbo «odiare». Matteo parla di preferenza del Cristo rispetto alla propria famiglia, mentre Luca è durissimo. Può essere che abbia rispettato un originale semitico che, secondo l’uso delle lingue semitiche, giocava sul contrasto ciò che noi esprimeremmo con un comparativo.
Ma il concetto resta. Ci sono legami incondizionati che possono essere vissuti solo a discapito di altri. E se Gesù mette in questione il rapporto con la propria stessa vita, non deve stupire che ci vada di mezzo la famiglia, tanto più in un tempo in cui era spesso rappresentativa di legami soffocanti, spersonalizzazioni, doveri imprigionanti.
È il lato negativo del diventare discepoli, il venerdì santo del discepolato, “necessario” per la Pasqua.
«Odiare» va inteso come abbandono e non si tratta di un sentimento, bensì di un’azione precisa che consente al discepolo, poi, di «essere totalmente presente al Maestro», che è ciò che costituisce propriamente il discepolato. Tagliare è necessario per essere totalmente presenti al Maestro.
Sarà il discepolato a far riscoprire l’amore per la famiglia in un modo nuovo.
Nel «portare la croce» non va letto immediatamente un riferimento alla croce di Gesù e ai suoi significati. Qui, piuttosto, c’è l’idea del portare un peso ed appare come una condizione del seguire Gesù più che un valore in sé. L’immagine esplicita la dimensione di fatica e patimento che è compresa nell’essere discepoli e, in ultima istanza, richiama il martirio.
Fare il budget (vv. 28-33)
La severità dell’impegno e la gravità delle richieste chiedono dunque grande ponderazione nella decisione.
Le due parabole utilizzate per sottolineare l’importanza della riflessione sono molto esplicite e non necessitano di particolari spiegazioni.
La raccomandazione di Gesù a coloro che intendono seguirlo è proprio quella di «calcolare», di misurarsi con le esigenze del cammino, di verificare con molta attenzione se ci sono le condizioni e le disposizioni giuste, se ci sono i mezzi e le energie.
Verrebbe da chiedersi se in un simile atteggiamento prudente non vi sia una mancanza di fiducia nella Provvidenza del Padre, nella forza dello Spirito che viene in soccorso delle debolezze. Gesù dice letteralmente: «Fate bene i vostri conti prima di imbarcarvi in questa avventura» e l’invito in entrambe le parabole è espresso con chiarezza con l’immagine del «sedersi a calcolare».
Ma quel che in realtà si deve con attenzione calcolare è proprio il fatto che si rinuncerà ad ogni bene. Il costruttore conta sui suoi mezzi, il re che va in guerra sui suoi eserciti, chi parte per andare con Cristo invece rinuncia ad ogni suo bene e decide di non aver nulla su cui contare.
Dunque, per chi decide di seguire Cristo, sedersi a ponderare la decisione è ancora più fondamentale perché non deve far la conta dei propri mezzi, ma deve decidere di non contarci più. Il potere di essere discepolo dipende, dal lato umano, dalla rinuncia alle ricchezze, ai diritti di nascita, alle armi, alle appartenenze religiose.
Attenzione a non trasformare queste parole di Gesù come inviti alla spericolatezza, alla rinuncia all’intelligenza o al senso di responsabilità. Non è fideismo irresponsabile che fa conto che Dio in qualche modo tamponerà le mie mancanze…
Attenzione anche a non pensare che qui vi sia l’invito a fare una selezione di “coraggiosi” a discapito di altri. L’attesa del Vangelo è che tutti rispondano positivamente, ma la preoccupazione, allo stesso tempo, è che vi sia piena consapevolezza e responsabilità nel cammino che si intraprende.
Lunga durata (vv. 34-35)
Se la conclusione del versetto 33 sottolineava la necessità di appartenere totalmente a Cristo, questi ultimi due versetti mettono a tema la questione dei rischi connessi alla durata della sequela.
«È buono il sale», nel contesto di Luca significa semplicemente che essere discepoli è una cosa buona, da intendersi in senso forte, cioè conforme alla volontà di Dio e utile al raggiungimento dei beni ultimi.
La domanda retorica che segue non ha bisogno di essere decodificata: è ovvio che la caratteristica fondamentale del sale è la sua sapidità, qualora la perdesse risulterebbe inutile e buono solo ad essere gettato via. Non c’è altro, oltre al sale, ad avere le sue qualità, chi gli verrà in aiuto?
Il discepolo che ha rinunciato a tutto dopo aver ben calcolato ed è perfino pronto al martirio, se perde la sapienza del Vangelo, se si svuota, si intiepidisce, non è più buono a nulla e sarà «gettato fuori» (espressione forte dal sapore di giudizio disciplinare).