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«Discepolo per un giorno». Farsi discepoli con un un bicchiere d’acqua.
Sesta Domenica dopo il Martirio del Precursore
Il Signore Gesù disse: «Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto. Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa». (Mt 10, 40-42)
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Nel discorso missionario Matteo descrive i predicatori itineranti per proporre alla sua comunità un modello di Chiesa con caratteristiche ben definite.
La Chiesa di Matteo: c’è per Grazia, deve continuare la stessa missione di Gesù, assumen la forma di vita di Gesù imitandolo da vicino, soffre come Lui patendo la persecuzione, sarà anch’essa giudicata per come ha vissuto, ma soprattutto è Chiesa di discepoli.
Su quest’ultimo aspetto Matteo punta molto, per dire che: la fede è anzitutto personale e conta il rapporto con Gesù prima che ogni altra cosa; la dimensione fraterna e democratica di una comunità senza gerarchie e privilegi è fondamentale; ma soprattutto che l’esperienza di fede è un’idea dinamica.
Quest’ultimo tratto è molto importante per la sua Chiesa fatta ormai di cristiani sedentari: un discepolo è tale nel rispondere costantemente e sempre nuovamente alla chiamata del Signore. Discepolo si diventa continuamente, lo si deve dire e dimostrare non una volta per tutte, ma ogni volta come la prima. Essere discepoli non lo si eredita e nemmeno si acquisisce.
Il discepolato non lo decide una tradizione da rispettare o un’appartenenza sociale. Piuttosto è il discepolato a dar valore a quella tradizione e a quella appartenenza. Si è discepolo dando continuamente prova di esserlo, non smettendo mai di diventarlo, decidendo oggi di seguire Cristo.
Non si è discepoli per un crocifisso appeso ma nemmeno per una messa partecipata. Se non si è discepoli il crocifisso è un arredo e la messa una rappresentazione religiosa.
Non conta il curriculum e nemmeno il pedigree. Non contano le memorie e nemmeno i progetti o le promesse. O meglio, tutto ciò conta nella misura in cui oggi divento discepolo, nella misura in cui mi aiutano ad esserlo.
Matteo contrasta con questo una visione statica della Chiesa. La Chiesa è tale nell’obbedienza a Gesù e nelle opere conseguenti. Deve sempre dar prova di esserlo. La Chiesa diventa Chiesa quando con le proprie decisioni dimostra di essere legata a Cristo. È così, perché così è il discepolo è la Chiesa è comunità di discepoli.
Nei versetti conclusivi i piccoli sono i predicatori itineranti. L’invito all’accoglienza è rivolto ai “sedentari”. Ciò che rende il gesto decisivo è farlo perché è un discepolo; è fare un gesto “nel suo nome”.
Qui c’è in gioco quel diventare discepoli.
Non si tratta della retorica dei piccoli gesti apprezzati da Dio. Ma del gesto enorme dello scegliere di essere discepolo, diventandolo e dimostrandolo dandone prova oggi, senza contare su quel che è stato fatto ieri e senza promettere quel che sarà domani.
È l’annuncio straordinario della possibilità che c’è in quest’oggi di chiudere con un passato poco evangelico. È l’annuncio esigente dell’impossibilità di far della Chiesa il gruppo dei combattenti reduci del cristianesimo.