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I genitori del Signore Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini. (Lc 2, 41-52)
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Luca riprende dalla letteratura greca e giudica lo schema dei racconti di infanzia dei “campioni” con grandi doti, che fin da bambini hanno mostrato qualità eccezionali e un’intelligenza superiore.
Proprio attorno ai dodici anni grandi personaggi come Ciro, Alessandro, Epicuro tra i greci, Salomone, Samuele e Daniele in ambito biblico danno prova delle loro capacità.
Così Gesù nel luogo del sapere religioso mostra una Sapienza superiore la cui provenienza è misteriosa, anche se evidente.
Il quadro perfetto viene però sporcato da un incidente.
Gesù non si comporta come i genitori si aspetterebbero e non reagisce come sarebbe saggio e opportuno fare.
L’atteggiamento supponente e irrispettoso che evidenzia la loro incapacità di comprendere e che prende le distanze dalle loro attese è fuori luogo.
Colpisce come lo scontro non sia realmente risolto. La frattura dell’incomprensione resta, c’è solo una naturale sottomissione.
Luca poteva risparmiarsi di rovinare il quadretto prodigioso, ma non lo fa. Decide piuttosto di mostrare come la storia della salvezza abbia attraversato realmente le dinamiche umane portandone i segni e riempiendole di possibilità e significato.
Luca ci libera dall’ideale chimerico, dal sogno che come una sirena porta via dal reale, dal presente, dalla carne di cui è fatta ogni esistenza.
Il racconto ci libera dalla tentazione di credere che la salvezza sia fuori dal nostro concreto quotidiano, come se le “fratture” che sperimentiamo fossero una maledizione, come se la beatitudine evangelica coincidesse solo con l’assenza di ogni sofferenza.
Ci salva dal rischio di pensare che la salvezza consista nella soluzione definitiva e immediata e meramente terrena di queste contraddizioni. Ma non è così.
Pensare questo è uccidere la Speranza cristiana. È cancellare la Pasqua di Cristo che è venuta a offrirci una prospettiva per leggere e affrontare proprio le ferite della storia.
La prospettiva cristiana è quella di lottare contro di esse per affermare, chiedere, attendere, annunciare, anticipare una salvezza ulteriore, per professare la propria fede in Colui che opera per darci la Vita piena.
La Beatitudine è l’esperienza tipica di chi decide di stare in tutto questo.
Non è beato chi sogna l’ideale, ma chi sta sveglio nel proprio reale.