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Questa Lectio è stata proposta alle famiglie dei Gruppi di Spiritualità Familiare di Lecco, all'interno del percorso diocesano «Chiamati alla felicità».
I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: "Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome". Egli disse loro: "Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli".
In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: "Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo".
E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: "Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono". (Lc 10, 17-24)
ASCOLTA L’INTERVENTO:
BIBLIOGRAFIA.
Bovon, Francois Vangelo di Luca, Brescia, Paideia, 2005.
Rossè, Gerard Vangelo di Luca, Roma, Città Nuova, 2006.
Da Spinetoli, Ortensio Luca, Assisi, Cittadella, 1999.
Premessa
Normalmente associamo l’esperienza della beatitudine e della felicità a un concetto di pienezza: la realizzazione dei nostri obiettivi, il raggiungimento dell’oggetto dei nostri desideri, la corrispondenza alle nostre volontà.
Se invece c’è qualcosa che ci manca è facile che si indulga nella tristezza o nel lamento. Quand’anche non lo si faccia, in ogni caso difficilmente si assocerebbe la mancanza di qualcosa di importante a una condizione di felicità.
Per questo, la mancanza è qualcosa che si tende, giustamente, a risolvere il più presto possibile, tanto più rapidamente quanto più riteniamo dolorosa quella particolare penuria.
Mancanza, qui, è da intendersi a 360°, dal senso di fame, passando per il mancato raggiungimento di un obiettivo personale, fino al senso di privazione che provoca il lutto.
Al di là delle sofferenze concrete che spesso le carenze comportano, a turbare profondamente mettendo anche radicalmente in crisi, sono le domande di senso che fanno sorgere.
Sono domande spesso severe che mettono in questione il senso della vita e, a volte, perfino il suo valore. Quando si è costretti a fare a meno delle persone che si amano, quando crolla di colpo ciò che per decenni si è pazientemente costruito, quando si perdono rapporti cuciti delicatamente per tanto tempo: la domanda tremenda «ma allora che senso ha?», arriva implacabile.
Dallo scontro con quegli interrogativi profondi, poi, si può uscire molto maturi oppure si può soccombere sotto di essi, indurendosi e incattivendosi, diventando cinici o perdendo la fede.
Eppure, per il Vangelo sembra che le situazioni di mancanza siano occasioni di beatitudine, o meglio, che le circostanze di carenza abbiano una beatitudine specifica.
Le beatitudini evangeliche sono annunciate come una possibilità e come un dono che un Altro ti fa, nella misura in cui quella particolare condizione venga vissuta comunque nella ricerca di ciò che è buono, giusto e vero.
Dunque, anche la beatitudine della mancanza è una possibilità, non certo l’esito automatico di una data circostanza, e allo stesso tempo una realtà che Dio si impegna a realizzare in prima persona.
Si comprende bene che la pretesa del Vangelo però non è offrire dei buoni pensierini che, a mo’ di stampella o di anti-dolorifico, aiutino a sostenere le inevitabili esperienze di mancanza mancanze (ad esempio: “pensa che con Gesù non sei mai solo… anche se hai fallito agli occhi di Dio vali moltissimo…”).
Piuttosto, cerca di intercettare proprio le domande di senso che le mancanze fanno sorgere ponendosi come loro interlocutore.
Però il Vangelo, a chi lo interpella, chiede per essere “efficace” un profondo coinvolgimento, una grande compromissione e una forte assunzione di responsabilità. A chi cerca una risposta offre una prospettiva, un orizzonte di senso, ma poi della singola circostanza o della particolare esperienza, spetta a ciascuno definirne il proprio personale significato.
Ad esempio la Legge dell’Amore è una prospettiva di senso, quella più decisiva, ma il modo concreto con cui quella Legge riempie di significato la personale esperienza dell’amare e dell’essere amati, della presenza e dell’assenza dell’amato - il senso «per me» - è compito di ciascuno elaborarlo.
Il Vangelo con il suo racconto sembra suggerire che Gesù è venuto ad incontrare soprattutto chi si trova in situazione di bisogno e mancanza: poveri, malati, emarginati, peccatori. Gesù a Nazaret nella sinagoga si preannuncerà come dedito principalmente ai mancanti. Il suo viaggio sarà disseminato di personaggi così.
Per questi che hanno bisogno di una salvezza il Vangelo è una buona notizia perché è la notizia di una felicità possibile e di un senso disponibile.
Contesto
a. Il Viaggio a Gerusalemme
Gesù annuncia il Regno guarendo, sanando, accogliendo, perdonando, sfamando e ci sono delle forze che vogliono impedirglielo a tutti i costi. A fronte di questo, decide di andare fino in fondo nella sua opera puntando la tana del lupo, nella quale entrerà, però, da agnello.
La sua è la determinazione di chi sa che affronterà una battaglia ma non per uccidere, bensì per la vita anche di coloro che intendono farlo fuori e che lo rifiuteranno. Questa è la determinazione di Gesù: determinato a volere la vita, di tutti, a tutti i costi.
Il viaggio che inizia al versetto 51 del capitolo 9 sarà un percorso che rivelerà continuamente e sempre più profondamente questa volontà di vita e di salvezza che è il Regno in atto, fino al suo culmine.
I primi destinatari di questa sua azione sono noti fin dalla sinagoga di Nazaret, dove ha tenuto il suo discorso programmatico: poveri, sofferenti, oppressi. Coloro che sono in qualche modo “mancanti” possono considerarsi beati.
In effetti il distendersi della narrazione mostrerà proprio questo. Le beatitudini confermeranno il programma, le azioni e la predicazione la realizzeranno. Basti pensare alle guarigioni, alle moltiplicazioni, alla peccatrice, a Zaccheo, al cieco di Gerico, ai lebbrosi, etc…
La mancanza sembra essere una condizione di beatitudine in quanto condizione di speciale incontro con Dio, benché si direbbe vero il contrario. È il ribaltamento evangelico. Chi è pieno non ha bisogno della salvezza di Dio. Non è un caso che Gesù cominci la vita pubblica nel deserto, digiunando, in solitudine. In condizione di estrema mancanza.
Gesù è impegnato a raccontare il volto di un Dio che si fa carico dei desideri e dei bisogni dell’uomo (della «mancanza»), un Dio affamato di umanità e di dedizione, di cura, di compassione per l’umano. Un Dio mai sazio, nemmeno lui, dell’incontro con gli uomini e le donne che sono suoi figli.
b. La missione dei 72 e il tema della missione universale in Lc
L'invio del 72 prefigura la missione universale della Chiesa che viene collocata all'interno del viaggio di Gesù a Gerusalemme e dunque nella Sua determinazione a mostrare il volto misericordioso del Dio della vita. I 72 (la Chiesa) hanno la stessa missione di Gesù e devono condividerne obiettivi, intenzioni, metodi.
È importante cogliere il radicamento della missione in un’esplicita volontà da parte di Gesù: non si può pensare l’opera missionaria se non in assoluta e strettissima continuità con l’agire di Gesù.
Il numero rappresenta le nazioni, l'elenco dei popoli (cfr Gen 10), e dunque i missionari sono rappresentanti delle nazioni. Le nazioni non sono solo destinatari dell'evangelizzazione ma soggetti protagonisti: l'evangelizzazione si fa con membri di ogni popolo.
È una missione «in fraternità»: l'ambiente in cui deve risuonare l'annuncio non può che essere famigliare perché dovranno, curando e predicando, mostrare il volto di un Padre che si cura di figli. Lc anche in At mette in primo piano questa caratteristica non individuale della missione.
Il primo compito del missionario è la preghiera di fronte all'ampiezza della messe. Gesù dichiara in anticipo che non saranno adeguati, che il compito è sproporzionato, che la misura delle loro capacità è infinitamente insufficiente rispetto al campo da percorrere.
Sembra che il primo requisito del missionario sia la consapevolezza della propria inconsistenza: bisogna essere umili e convinti che non si è né si ha granché da mettere in campo. Interessante è notare che Gesù non promette di rimediare all’inadeguatezza promettendo di farne delle “macchine da missione”. Piuttosto chiede loro di abitare quella «mancanza», facendone l’occasione del legame con il Padre.
Poi, una volta acquisite le giuste consapevolezze, devono portare la pace, guarire, annunciare il Regno cioè la cura paterna di Dio. Non altro, solo questo e soltanto in questo consiste l'evangelizzazione.
Il tutto con uno stile assolutamente spoglio, libero, debole, avendo come campo da gioco non gli ”ambienti sacri” ma le strade, le città, le case e come strumento d’annuncio la relazione.
Poveri, liberi e bisognosi, nella condizione di essere accolti e di curare quelli da cui sono accolti. I discepoli vanno come “mancanti”.
2. Il testo
Il ritorno dalla missione.
Lo sfondo del ritorno dalla missione è la gioia. Il successo della missione viene però considerato dai discepoli in modo discutibile. Anzichè raccontare a Gesù la gioia per le persone sanate, per il conforto portato, per il bene distribuito, esultano e gioiscono per il potere che hanno provato e tenuto tra le mani.
Lo sfondo della caduta di Satana dal cielo sta nella tradizione giudaica che lo vedeva rappresentato in cielo come accusatore degli uomini, come colui che cercava di ottenerne la condanna da parte di Dio. La sua caduta dunque è la dichiarazione del fatto che nessuna accusa sarà presentata a Dio contro l'umanità: il Regno del Padre si realizza.
Gesù in effetti conferma: il Cielo deve essere liberato e il volto del Padre oscurato dall'Accusatore deve essere mostrato in tutta la sua bellezza. Nessun male sarà ultimo e nulla davvero avrà potere di morte definitiva, ma solo per volontà e per potere di Gesù che mostra così il volto del Padre.
La possibilità di camminare su scorpioni e serpenti è l’immagine della cura effettiva da parte di Gesù e del Suo potere sul male a favore dei discepoli.
Però i discepoli devono gioire del fatto che godono della cura del Padre che li salva e libera da ogni male, per mezzo del Figlio, non del potere di cui dispongono.
I discepoli sembrano guardare le cose in una logica diversa da quella del Regno, pensano che tutto consista nel dominare usando il nome di Gesù (come con un imperatore) mentre il Maestro dice che sono i loro nomi ad essere grandi perché sono nel cuore del Padre e la loro missione consiste nel dimostrare quel nome con opere che parlino del Padre.
Il ritorno dalla missione fa venire il sospetto che la logica dei discepoli sia stata un'altra: godono del potere, della capacità di sottomettere, della forza che si accorgono di avere. Anziché abitare la «mancanza» hanno creduto di superarla.
L’esultanza di Gesù.
Gesù esulta per ciò che il Padre è e fa. Esulta perché vede il Regno realizzarsi. Gioisce perché tocca con mano che il Vangelo che Lui stesso annuncia accade realmente. Mostra ai suoi la natura, l'origine, la consistenza della vera gioia evangelica.
L’esultanza di Gesù va compresa bene. È l’esultanza del Magnificat, quella che vive della riconciliazione profonda di chi ”vede” la salvezza accadere, la vita trionfare sulla morte, l’amore sconfiggere l’odio, la storia procedere verso un compimento custodito da un Altro.
La gioia evangelica è quella che sorge dall’intuire il «ribaltamento» che il Regno di Dio comporta: i piccoli, gli umili, gli esclusi, i deboli, i peccatori sono al primo posto. Non è qualcosa che si può produrre con un esercizio di rasserenamento interiore, tantomeno con il ragionamento. È un’intuizione spirituale che avviene come un dono e che chiede di attraversare la Pasqua, ribaltamento per eccellenza: morendo si entra nella vita piena!
I sapienti e i dotti non sono gli intellettuali, bensì quelli che conoscono le Scritture, conoscono la Sapienza, conoscono la Legge e che dunque sono dotti e non ignoranti. Scribi, farisei e dottori della Legge. Sono coloro che avrebbero dovuto dischiudere i tesori delle Scritture ai poveri.
I piccoli sono i peccatori, i malati, gli ignoranti, la gente semplice del popolo, i pastori... Etc... In maniera particolare, però, tutti coloro che non conoscevano la Legge e che avevano bisogno di qualcuno che la spiegasse e li aiutasse a viverla.
Gesù constata che i primi sono sordi - pur con tutta la loro sapienza - e non capiscono «queste cose» (le parole e le opere di Gesù, il Mistero del Regno che viene), mentre i secondi comprendono - pur nella loro ignoranza - e si rende conto perciò che il Vangelo è proprio vero, funziona, accade, che il Padre davvero solleva e da speranza a chi non ne ha più.
Ora il Regno di Dio è molto di più che un auspicio: è davvero quello il momento e il tempo in cui i poveri sono esaltati e i grandi sono umiliati, i ricchi vanno a mani vuote e gli affamati sono saziati. La «mancanza» è una beatitudine.
Spunti di riflessione.
Sensi di colpa e senso del peccato.
Il Vangelo è il passaggio dal senso di colpa a quello del peccato, è la vita «in stato di grazia», come si diceva una volta, ma nel senso che si vive avvolti dalla possibilità del riscatto dalle forme grandi o piccole di abbrutimento.
Il senso del peccato è l’intuizione di aver “fallito un colpo” per la percezione chiara di poter fare effettivamente altro. È la beatitudine della mancanza.
La gioia è perché il proprio nome è scritto in cielo, non perché si è raggiunto un obiettivo o ci si è rivelati all’altezza, è la gioia di sapere che c'è un desiderio che ci cerca prima delle nostre “realizzazioni”.
Noi siamo chiamati a una vita “alta” ma dentro i confini della carne che ci portiamo dietro. Dobbiamo corrispondere a quella vita, non a proiezioni di modelli da super-uomo.
C’è dato particolare che accompagna spesso l’esperienza di aver mancato in qualcosa, di essere stati inadeguati, che è il senso di colpa. Non di rado sorge sulla base di criteri, di immagini, ideali, etc, che magari hanno un alone cattolico ma che di cristiano, invece hanno ben poco e sono a tutti gli effetti degli idoli falsi.
Smascherarli mentre ci puntano il dito contro credo sia un percorso di evangelizzazione notevole e trovare il modo di far percepire all’altro il suo valore a priori, altrettanto.
Equilibri di bisogni
L'inadeguatezza dei discepoli rispetto al compito, il bisogno di sentirsi forti e capaci, l'immagine dei piccoli "ignoranti" e a loro modo bisognosi, il bisogno di vedere la salvezza citato nel finale: il tema del bisogno si presenta prepotente.
Pensare che la beatitudine sia l'immediata soddisfazione del bisogno è illusione quotidiana che va incontro all’esperienza dello scoraggiamento.
È da notare invece come il tema del bisogno sia la causa del turbamento e del conflitto, molto frequentemente. Tanto più se è strumentalizzazione dell’altro.
È anche da ricordare come la negazione forzata dei bisogni scateni alla lunga il peggio delle persone e certa retorica cattolica sulla continua negazione del bisogno sia veramente un rischio.
Cambiare la prospettiva è importante: mettersi in ascolto della dimensione del bisogno che tutti abbiamo e prendersi la responsabilità di concertare i bisogni.