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In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo . Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo . E beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto». Allora Maria disse: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore.» (Lc 1, 39-47)
Mentre diceva questo, una donna dalla folla alzò la voce e gli disse: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!». Ma egli disse: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!». (Lc 11, 27-28)
ASCOLTA L’INTERVENTO:
INDICE DELLA LECTIO:
1. Contesto e inquadramento del brano.
2. Il testo.
3. Spunti di riflessione.
BIBLIOGRAFIA.
Bovon, Francois Vangelo di Luca, Brescia, Paideia, 2005.
Rossè, Gerard Vangelo di Luca, Roma, Città Nuova, 2006.
Da Spinetoli, Ortensio Luca, Assisi, Cittadella, 1999.
Contesto e inquadramento del brano.
L’inizio dei Vangeli dell’infanzia in Lc è caratterizzato dall’intreccio tra le vicende dei nascituri Giovanni il Battista e Gesù. L’evangelista lo costruisce anzitutto attraverso il confronto/contrapposizione tra la figura di Zaccaria e quella di Maria, nel loro rispettivo reagire alle parole dell’angelo che appare.
Il confronto è anzitutto posto in termini di contesto e di condizione di vita.
Zaccaria è sacerdote, anziano, esercita il suo incarico nel Tempio, abita non lontano da Gerusalemme, conosce le Scritture e della sua famiglia Luca si premura di dare anche la linea genealogica. Incontra l’angelo in un giorno solenne, in un contesto liturgico, riconoscendolo subito e trovando, poi, il conforto della gente all’interno del Tempio che subito comprende l’eccezionalità dell’evento.
Maria è una anonima ragazzina che non ha natali nobili, analfabeta e senza particolari conoscenze della Scrittura, di un villaggio sconosciuto e - pare - rissoso e malfamato della Galilea, che incontra l’angelo in un giorno qualsiasi, in una casa come le altre, senza inizialmente riconoscerlo e senza che al fatto segua alcuna condivisione o riscontro con altri.
La differenza tra i due contesti e personaggi si approfondisce nella loro reazione all’angelo.
Zaccaria si mostra dubbioso ed esprime parole di incredulità. È sordo a ciò che l’angelo comunica, non fa spazio alla Parola che lo raggiunge. Zaccaria mantiene una distanza, come se non credesse che quella Parola che già Abramo e Sara, Anna ed Elkana ascoltarono, potesse toccare anche lui. non Dunque sarà muto fino al compimento della promessa.
Maria intuisce dalla straordinarietà del saluto dell’angelo che la nascita sarà straordinaria. Di fronte a ciò ha da subito un atteggiamento collaborativo: la sua richiesta di spiegazione non è un dubbio o un’obiezione, bensì l’attesa di indicazioni ulteriori.
Maria si sente interpellata direttamente e sente che la sua vita è chiamata ad essere coinvolta in prima persona nella storia della salvezza. Non è una vicenda di cui essere spettatrice, qualcosa che riguarda altri e di cui lei può solo venire a conoscenza. È invece una storia che la chiama in casual direttamente. Perciò, Maria fa spazio alle parole, apparendo da subito come la discepola esemplare che ascolta e si lascia segnare dalla Parola di Dio. Tratta Dio come un interlocutore con il quale intrecciare un discorso.
Per questo Maria sa parlare, come la parente Elisabetta.
Il testo.
Nell’incontro tra le due donne si intrecciano i destini di Gesù e del Battista. La premessa sono le parole dell’angelo che hanno indicato a Maria la gravidanza della parente come segno da leggersi in relazione alla sua vocazione come Madre del Signore.
L’incontro tra le due è straordinario da molti punti di vista: l’eccezionalità delle gravidanze con gli annessi interventi divini; la sovrabbondanza dello Spirito che riempie entrambe; l’universale portata profetica delle parole che costituiscono il dialogo; l’esemplare disponibilità all’accoglienza della volontà di Dio in entrambe; la sorprendente profondità della loro fede; l’alto livello di qualità orante tipicamente israelitica delle loro espressioni.
Il tutto all’interno di un quadro che racconta una dinamica estremamente umana, familiare, femminile, ordinaria, incarnata quale il dialogo tra due madri in attesa che condividono gioie, speranze, preoccupazioni, responsabilità.
Il viaggio
Maria si mette in viaggio da sola e l’immagine, al di là di ogni debita contestualizzazione, resta molto forte. Quell’incontro riguarda anzitutto ciò che lei sarà chiamata a fare, la sua esperienza di fede e di maternità, la sua comprensione del mistero di Dio e del Figlio che le è stato dato.
Si mette in cammino («alzatasi» può essere usato per indicare l’inizio di un’azione), cosa che nel Vangelo di Luca non può considerarsi neutra, ma dal marcato valore teologico. Gesù percorrerà il paese in obbedienza al Padre, nel compimento delle Sue opere, per manifestare il Suo volto. Così la Madre.
È un elemento interessante questo: la valenza teologica di un percorso, di un’azione, di un’esistenza intera. Ma occorre prestare attenzione perché c’è, ovviamente, una condizione ben precisa.
Maria, come altri personaggi biblici, si mette in moto non appena la voce di Dio si fa udire. C’è una profonda armonia cercata, voluta e accolta tra il suo animo, la sua volontà, la sua intelligenza e quelle di Dio. Quel muoversi «in fretta» sottolinea proprio il muoversi di Maria sul sentiero di Dio con estrema scioltezza, docilità e disponibilità.
Non così è stato, ad esempio, per il padrone della casa verso cui si sta dirigendo: Zaccaria. La via della paternità che l’angelo gli aveva preannunciato durante l’offerta dell’incenso non aveva trovato i suoi piedi pronti a calcarla immediatamente. Zaccaria si era inceppato nei suoi dubbi e nelle sue perplessità, pronunciando parole stolte e di poca fede, tanto da meritarsi un tempo forzato di silenzio, in cui maturare parole più sapienti.
Arrivata a destinazione, Maria saluta. I Vangeli dell’infanzia sono pieni di saluti e di incontri. Il «Dio con noi» entra nella storia umana attraverso un tessuto di relazioni, di legami familiari, di rapporti d’amore e di amicizia.
Sussulti di gioia
Negli ambienti giudaici e cristiani, il saluto non era la formalità che ci scambiamo oggi, bensì una parola forte di augurio di bene e di vita che si riteneva capace di realizzare ciò che esprimeva.
Luca riprende qui lo stilema antico della predizione del futuro in base a segni miracolosi di neonati. Nella Bibbia ne abbiamo un esempio famoso nella lotta tra Giacobbe ed Esaù ancora nel ventre materno.
Non sappiamo le parole usate da Maria, ma la reazione del bambino che sussulta di gioia nel grembo di Elisabetta ha la valenza del segno: ciò che sta avvenendo, è un evento straordinario e Giovanni si manifesta subito come colui che avrà il compito di annunciare l’evento e indicare la presenza di colui che compirà le promesse divine.
Lo Spirito - grande protagonista dell’opera di Luca, in particolare di Atti - invade Elisabetta mettendo sulle sue labbra parole di annuncio della salvezza incipiente.
Benedizioni e beatitudini.
L’esclamazione di benedizione di Elisabetta ha risonanze antico-testamentari molto forti.
C’è un richiamo al grido di esultanza degli Israeliti davanti all’Arca dell’Alleanza (1Cr 15, 28; 16, 4.5.42; 2Cr 5, 13) e anche allo stupore di Davide nel vedere venire l’Arca, con la danza successiva (2Sam 6, 9ss).
Maria appare come la Vera Arca che ospita la presenza di Dio in modo autentico. Nella vecchia Arca dell’Alleanza la presenza di Dio era in realtà un’assenza. Maria invece è il luogo in cui Dio abita realmente e fisicamente in mezzo al suo popolo.
Nelle parole di Elisabetta c’è anche un rimando al retroterra biblico delle benedizioni celebrate nelle occasioni di salvezza del paese: Giuditta e Oloferne (Gdt 13, 18), Debora e Giaele (Gdc 5, 24), Abramo e Melchisedek (Gen 14, 19-20). Tutte benedizioni avvenute in contesti di guerra, ma anche e soprattutto di vittoria e di liberazione.
Maria è il campo in cui si compie la vittoria definitiva da parte di Dio. Non più eserciti, non più armi, non più battaglie. Solo la fragilità di un grembo gravido, un bimbo indifeso, un’esistenza umana al pari di tutte le altre esistenze umane.
La preghiera di Elisabetta ha, in questo modo, un’intonazione perfino liturgica. Si celebra. In quella casa, fuori dal Tempio di Gesrusalemme, si celebra il Dio della salvezza, nel nuovo tempio che ha scelto di abitare.
Maria è chiamata benedetta - da Dio - in modo unico tra ogni altra donna. È la sorpresa dell’agire divino che sceglie e benedice personaggi marginali, estranei alla grande storia di Israele, dal mondo sacerdotale, dai centri del potere.
Nella concezione antica, una donna acquisiva dignità dal figlio che portava in grembo e dal suo diventare madre. È anzitutto il destino di quel figlio a originare la benedizione, come si intuisce dalle parole di Elisabetta. La benedizione divina, però, non è solo parola ma anche potenza che accompagna coloro che la ricevono.
All’ispirazione delle prime parole, Elisabetta fa seguire un po’ di sconcerto e di disorientamento. Il tratto umano percorre bene e abbondantemente il racconto e va raccolto come elemento prezioso.
L’ispirazione riprende e la donna si lancia in una beatitudine che non può non contrastare con l’atteggiamento tenuto dal marito e che Luca ha già stigmatizzato.
Maria ha il dono di potere sperimentare la beatitudine di coloro che accolgono la promessa di Dio come fosse già realizzata, prima ancora del suo compimento.
È la stessa beatitudine che sentiremo proclamata da Gesù nel capitolo 11.
Cambio di prospettiva. (Lc 11, 27-28)
Gesù, dopo aver liberato un uomo dallo spirito che lo possedeva, si trova a battibeccare con alcuni che lo accusano di scacciare i demoni per conto di Beelzebul, capo dei demoni.
È ascoltando le sue repliche ai contestatori che una donna dalla folla prorompe nel grido di beatitudine rivolto alla madre di Gesù e a lui stesso.
L’espressione che utilizza pare che fosse proverbiale al suo tempo, dunque particolarmente in uso e per nulla originale.
Come già accennato sopra, nel mondo giudaico la maternità costituiva la dignità e il senso dell’esistenza della donna. Non va dimenticato che in Israele le relazioni familiari erano considerate il cuore dell’alleanza cultuale e sacra: in questo modo si spiega la posizione “fredda” di Gesù rispetto alla madre.
La donna non intende affatto riferirsi all’esperienza della beatitudine evangelica, tutt’altro! Parla semplicemente del privilegio dell’avere un figlio - per giunta bravo, buono e famoso - e di poterlo allattare.
Gesù reagisce di contrasto con un’espressione avversativa che esprime riserva e significa: «Certamente, ma…» oppure «Ma piuttosto…». Come intendere la riserva di Gesù.
Come atto di modestia, anzitutto, per il quale Gesù accetta l’onore che gli è rivolto ma invita a passare rapidamente oltre. Ma, soprattutto, come invito a comprendere e cogliere l’esistenza di una Beatitudine di senso ulteriore: c’è una Parola che se accolta dà accesso a una gioia che sta ben più in là del successo familiare e della riuscita delle relazioni.
Dunque quella donna che ha ascoltato Gesù e ne ha apprezzato le parole non è affatto distante da quell’esperienza. Come se Gesù dicesse: guarda che la beata qui sei tu, insieme a tutti coloro che si lasciano generare dalla parola di Dio. Ovviamente, Maria compresa.
L’ascolto che Gesù chiede implica, però, l’osservanza di quella Parola, dunque la pratica, la custodia esistenziale e viva, la perseveranza.
Spunti di riflessione.
La beatitudine del dialogo
Tutto avviene nella casa di un “sordo” che è diventato muto, cioè uno che non sa più parlare perché non ha creduto, perché si è fatto sordo alla parola che portava la vita.
Ci sono due donne che ascoltano e che parlano, che hanno una Parola da dire perché sono “tutt’orecchi”, anzi, perché sono grembo in cui la Parola ha trovato posto nel senso perfino materiale dell’espressione.
Sanno ascoltare l’altra, sanno cantare la lode, sanno lasciare fiorire la Parola sulle proprie labbra perché si sono lasciate segnare indelebilmente da Essa.
Sono donne del dialogo da intendersi non come scambio verbale ma come disponibilità a lasciarsi attraversare dalla parola dell’altro rimanendone irrimediabilmente segnati.
La Beatitudine del dialogo non è qui la retorica dell’importanza del parlare in famiglia, del condividere pensieri, dello sforzo a farsi capire nel modo migliore, etc… semplicemente perché “è bello e importante dialogare”.
La Beatitudine del dialogo ha un tono pasquale: nel dialogo si genera qualcosa di nuovo e vivo se si ha il coraggio di lasciarsi segnare, dunque trasformare, dunque anche ferire dalla parola dell’altro lasciandole spazio. Se la parola altrui non ti fa più essere lo stesso, in qualche modo.
Si tratta di accogliere l’esperienza di non essere più gli stessi dopo aver ascoltato profondamente l’altro. Si tratta di un atto di fede nella possibilità che, mantenendo uno stile di apertura accogliente, lo Spirito sa generare la novità dentro la relazione.
La beatitudine di chi osserva la Parola di Dio.
La Parola di Dio è una pietra focaia che fa scintille e accende la vita solo se la si percuote.
Non ci viene chiesto di sottometterci ottusamente ai comandamenti. Ci viene chiesto di usare tutto ciò che costituisce la nostra umanità per entrare nel senso autentico degli insegnamenti divini, permettendogli di entrare nel profondo di noi stessi.
Così si sperimenta l’esperienza di essere “generati” concretamente e continuamente da un Altro, dalle sue Parole.
È la beatitudine di chi “fa a partire da un ascolto”. Nel “fare e basta” può non esserci alcuna beatitudine. È la beatitudine di chi ha il coraggio di salire sul palcoscenico della Parola di Dio per assumere la propria parte e giocarla fino in fondo.
La Parola di Dio chiede anche di essere messa in crisi dalla nostra domanda, dalla nostra intelligenza, dal nostro bisogno di comprensione profonda. Come, peraltro, Maria fa.
Così la si sperimenta come un interlocutore a tutti gli effetti, così si avvia un dialogo che sa e può cambiare radicalmente la vita.