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«Giovanni Battista e la beatitudine dello scandalo». Lectio di Lc 7, 18-23.

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Lectio e Omelie

«Giovanni Battista e la beatitudine dello scandalo». Lectio di Lc 7, 18-23.

Cristiano Mauri
Jan 19, 2020
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«Giovanni Battista e la beatitudine dello scandalo». Lectio di Lc 7, 18-23.

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Questa Lectio è stata proposta alle famiglie dei Gruppi di Spiritualità Familiare di Lecco, all'interno del percorso diocesano «Chiamati alla felicità».

Giovanni fu informato dai suoi discepoli di tutte queste cose. Chiamati quindi due di loro, Giovanni li mandò a dire al Signore: "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?". Venuti da lui, quegli uomini dissero: "Giovanni il Battista ci ha mandati da te per domandarti: "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?"". In quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. Poi diede loro questa risposta: "Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!". (Lc 7, 18-23)


ASCOLTA L’INTERVENTO:

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BIBLIOGRAFIA.

  • Bovon, Francois Vangelo di Luca, Brescia, Paideia, 2005.

  • Rossè, Gerard Vangelo di Luca, Roma, Città Nuova, 2006.

  • Da Spinetoli, Ortensio Luca, Assisi, Cittadella, 1999.


Lectio del testo.

Che il tema della beatitudine sia un tema chiave del Vangelo lo sappiamo, ma sappiamo anche che è uno degli aspetti più disattesi. La figura del “cristiano triste” non è affatto rara e non è un caso che il Papa abbia così tanto insistito nei suoi documenti, ufficiali e non, sul fatto che la vita cristiana è una vita felice e che Cristo è venuto per la nostra felicità.

I Vangeli parlano diffusamente di questo aspetto nei termini di un’esperienza stabile di chi accoglie e vive l’annuncio di Cristo, un fatto che si sperimenta anche in situazioni apparentemente incompatibili con la beatitudine (la povertà, l’afflizione, la piccolezza…), quelle che contengono la contraddittorietà delle esistenze umane, la fragilità dell’esperienza, la drammaticità della storia.

La Parola di Cristo, dunque, annuncia la felicità ma non come anestetico dell’animo che tenga buoni i poveri (del tipo: “Patisci ora per essere felice in paradiso”). Non corrisponde affatto a quell’idea di vita terrena fatta tutta di lacrime necessarie per garantirsi la gioia sempiterna e che fa sentire in colpa nelle circostanze in cui capita di sperimentare una qualche felicità seppur passeggera.

Il Vangelo è piuttosto una parola che prende sul serio l’esistenza umana e annuncia che per incontrare la felicità non si deve fuggire dalla vita, ma il contrario.

Anche il brano di oggi tocca una beatitudine paradossale, o meglio, è annunciata in concomitanza a una situazione drammatica: quella di un arresto. Un arresto che è, peraltro, la conseguenza della fedeltà di Giovanni alla sua missione, all’essere profeta e testimone, dunque una circostanza classificabile tra quelle favorevoli a essere “premiati” da Dio e a toccare con mano la pienezza di vita.

La situazione di Giovanni è paragonabile a quella di tanti che, pur avendo una vita irreprensibile e santa, si scontrano con sofferenze e difficoltà enormi, dalle quali non tardano a nascere domande e dubbi: «Perché il Signore mi fa questo? Con tutto quel che faccio per Lui e per il prossimo… Non mi merito tanto male… Che senso ha allora darsi tanto da fare?».

Sono circostanze in cui “non tornano i conti” e nelle quali è facile che sorgano spiegazioni contorte per giustificare le cose e far tornare la somma in colonna: «Il Signore ti sta mettendo alla prova… Ti ha mandato questa sofferenza perché ne avevi bisogno… Se Dio vuole così si vede che c’è del buono…».

Più che cercare spiegazioni, piuttosto, sarebbe bene cominciare a pensare che l’esperienza dello scandalo è parte integrante della fede, o, se vogliamo, che il percorso di fede chiede di frequente di attraversare la porta stretta dello scandalo.


Dopo il discorso d’esordio nella sinagoga di Nazaret, Luca ha presentato l’attività di Gesù in Galilea con le relative guarigioni e predicazioni. Alcuni dei passaggi più significativi sono stati: la guarigione dell’indemoniato a Cafarnao, la purificazione del lebbroso, il miracolo del paralitico con il perdono dei peccati, la chiamata di Levi con il pasto insieme ai peccatori.

E poi, immediatamente a ridosso dell’episodio che commentiamo: l’annuncio delle beatitudini, l’amore dei nemici, la misericordia, la guarigione del servo del centurione e la resurrezione del figlio della vedova di Nain.

Gesù ha dispiegato in modo ampio e concreto il suo annuncio di salvezza e di solidarietà col dolore umano, la sua azione di consolazione, di riscatto e di misericordia. Lo ha fatto con uno stile mite, umile e compassionevole, portando a compimento le promesse che aveva fatto nella sinagoga di Nazaret commentando un brano del profeta Isaia (Lc 4).

Ovviamente la sua attività non ha lasciato indifferenti e, oltre a un vasto apprezzamento soprattutto da parte di poveri, emarginati e peccatori, ci sono già stati segnali di sorpresa e di polemica verso la sua predicazione (Lc 4, 28-32; 5, 21). Non deve stupire che Luca presenti qui le perplessità e i dubbi perfino del Battista.

La sua domanda è una vera richiesta di chiarimento che esprime smarrimento e incertezza. Giovanni appare realmente disorientato dal comportamento di Gesù e sembra non riuscire a convincersi della vera identità del parente. Anche per lui è un enigma, anzi, uno scandalo.

Con tutta probabilità, il modo con cui Gesù dà forma al proprio essere Messia non corrisponde all’idea e alle attese di Giovanni che, evidentemente, si era fatto un’immagine differente e sperava in tutt’altre azioni concrete.

Il tema dell’identità di Gesù era già stato toccato da Luca nell’episodio delle tentazioni, nel quale Gesù è stata provato a riguardo: chi ti credi di essere, che Figlio intendi essere, ma soprattutto chi è davvero tuo Padre, gli aveva chiesto il Satana con le tre provocazioni.

La questione sarà poi oggetto di discussione nel capitolo 9 (9, 7-9.18-21) e, in modo indiretto, farà da filo conduttore al lungo viaggio verso Gerusalemme, durante il quale, nel mostrare la propria natura Gesù rivelerà il volto del Padre. La sua identità - non capita - sarà infine il motivo della sua uccisione e anche sulla croce sarà provocato a riguardo («Se sei il re dei giudei…»).

In ogni caso, è interessante notare che la domanda del Battista (che gli studiosi dicono rispecchiare l’incertezza della comunità dei suoi discepoli nel tempo dopo Pasqua, di fronte al sorgere del movimento cristiano) trova nelle parole e nei gesti di Gesù una risposta fortemente ambigua.

La ripetizione dell’interrogativo fa comprendere quanto sia decisiva la questione, ponendola come centrale non solo per il Battista, ma per tutti coloro che incontrano Cristo e la sua Parola.

«Cosa stai aspettando? Chi stai aspettando? Cerchi altro? Cosa cerchi effettivamente? Quale immagine di Dio stai seguendo o inseguendo? Una che confermi le tue idee, fatta a tua immagine e somiglianza, che sostenga la tua politica di vita? Cerchi il Dio potente? Il supereroe che ti liberi dalle fatiche della vita?».

Lo stile spiazzante di Gesù suscita domande come queste, alle quali, se si vuole percorrere la strada del Vangelo, non possono essere dribblate. Ecco l’inciampo, ecco lo «scandalo», nel senso più proprio dell’espressione.

D’altronde lo smarrimento del Battista è pure comprensibile: si trova in prigione, ha sentito realizzarsi tutte le altre parole dette da Gesù a Cafarnao eccetto quella che annunciava la liberazione dei prigionieri, tanto che lui si trova ancora recluso. Perché non va a liberarlo? Se Gesù è il Messia, come mai lui sta ancora in carcere?

La risposta di Gesù sono le immediate guarigioni: l’«oggi» del Cristo è l’«oggi» della salvezza, come aveva preannunciato a Nazareth. I discepoli avevano già raccontato a Giovanni le opere di Gesù. Ora vengono rinviati da lui con nuove opere da raccontare che sono avvenute proprio davanti ai loro occhi, insieme alla raccomandazione di dire al Battista ciò cha hanno visto.

Sembra che Gesù dica al suo parente: «Ti ribadisco che è così, che è tutto qui, che è proprio questo il realizzarsi delle promesse e non aspettarti altro che questo. Se ti aspetti che venga a toglierti dalla prigione sappi che non lo farò. La liberazione che ti annuncio è vera, ma non è quella che tu pensi».

Il Cristo non viene per distruggere i palazzi di Erode, per rovesciare il potere politico. Il suo Regno non si stabilisce con la violenza e lo strapotere, non consiste nella sconfitta del tiranno con le sue stesse armi, non realizza la giustizia praticando altre ingiustizie.

Il Regno cresce in modo radicalmente alternativo a quello “mondano”, perciò scandalizza.

Forse, per Giovanni, il Vangelo è l’annuncio che c’è una particolare libertà che si può vivere anche nell’oppressione e nella prigionia. La liberazione del prigioniero non sta sempre o solo nella distruzione materiale della prigione (anche, a volte, ovviamente) ma la liberazione definitiva è altro.

C’è da immaginarsi lo smarrimento di Giovanni che aveva preannunciato tutt’altro. In effetti non gli si può dar torto, perché l’atteggiamento di Gesù è uno scandalo.

Dove si vede che il Vangelo “vince”? Dove si tocca con mano che alla fine è Dio che la spunta? Ma può affermarsi l’amore esercitando la forza, la violenza, una prepotenza più grande del prepotente? L’amore evangelico che libera e salva è altro, evidentemente.

L’esortazione a non scandalizzarsi della fine del brano fa sorgere molteplici interrogativi: come non inciampare in Gesù, che beatitudine può esserci se poi si resta nella drammaticità dell’ingiustizia o della sofferenza?

Particolare da non lasciare cadere è anche il fatto che non viene dato conto di un «sì» convinto di Giovanni a Gesù. È una possibile traccia del mancato riconoscimento di quest’ultimo da parte della maggioranza dei discepoli del primo. La pietra di scandalo non sembra essere stata evitata.

Spunti di riflessione.

Gesù dice beati coloro che non si scandalizzano di lui, però, di fatto, ha finito con lo scandalizzare tutti, Giovanni Battista, i discepoli, i capi, la gente. Volendo, perfino Maria e Giuseppe rimasero "scandalizzati" dal suo comportamento.

Dunque Gesù annuncia una beatitudine che non esiste? E se tutti nei Vangeli si sono scandalizzati di Lui almeno una volta, è possibile evitarlo e in che senso? E se invece accade come se ne esce e come si affronta?

Va detto anzitutto che certe visioni color pastello della fede o certe visioni plastificate della vita cristiana hanno ben poco a che fare con il Vangelo.

I racconti degli evangelisti ci consegnano una bellezza drammatica dell’esperienza dei discepoli. L’incontro con Cristo scompagina la vita, rimescola le carte, costringe a riconsiderare le categorie con cui si affrontano le cose di tutti i giorni.

E ciò non avviene affatto in modo indolore, ma sempre attraverso un travaglio. Non solo, il contenuto stesso dell’insegnamento di Gesù invita a “sporcarsi” con la vita e le sue contraddizioni.

Ciò non può non far venire il sospetto che anche la «caduta a terra» nell’incontro con Cristo sia da considerare come parte integrante del cammino.

In effetti è così e non mancano certo gli esempi di fragorose cadute a terra che sono state l’avvio di percorsi di santità.

Avvicinarsi a Gesù è sempre occasione di scandaloso e comporta sempre un vero “ribaltone” con il relativo senso di spaesamento, di spiazzamento, di disorientamento.

L’incontro autentico con il Vangelo conduce sempre alla reazione: «Ma Signore, sei davvero così?!?! Non avrei mai creduto che tu fossi questo!?!?». Da intendersi con: così buono, così misericordioso, così fedele, così paziente, etc...

Su Cristo si inciampa e si cade. Ma per una caduta che non è affatto mortale né definitiva, ma "vitale" perché introduce in qualcosa di più autentico.

Una volta a terra si vedono smascherate le proprie false immagini di Dio, le proprie ipocrisie religiose, le proprie durezze, arroganze, presunzioni, pigrizie, egoismi, superficialità… Certo è pur sempre una caduta e dunque qualche livido è inevitabile.

Però la caduta di fronte a Cristo è un momento di verità.

E insieme di salvezza, perché a chi inciampa in Lui, Gesù non riserva una parola umiliante, giudicante e accusatoria. Ma offre una mano tesa a cui ci si può aggrappare per rialzarsi e avviare, con Lui, il cammino per tutta un’altra vita. Una mano tesa, come quella rivolta al Battista.

Non è da intendersi dunque come un intervento miracoloso che rimuove immediatamente le ragioni dello scandalo. Ciò sarebbe paragonabile alla liberazione di Giovanni dalla prigione.

Piuttosto, quella mano tesa è l’annuncio di una possibilità di vita differente, dunque è l’invito a ripensare, ricostruire, rilanciare la propria fede, la propria immagine di Dio, di sé, dell’altro, della vita. Contando però sulla Parola di un Altro che si propone come capace di riempire di bellezza le cose e che si offre come stabile e affidabile.

La beatitudine del testimone sta nel dare conto proprio di questa esperienza: potere dire «non avrei mai creduto che Dio fosse così».

Il vero testimone è beato perché si è visto salvato dalle false visioni di Dio, del mondo, di sé, della vita e ha scoperto che “perdendo la fede” ha incontrato il Signore.

Potremmo dire che il testimone passa per lo scandalo senza rimanere nello scandalo, ma lasciandosi ricostruire a partire da esso e la sua beatitudine sta proprio in questa esperienza di ricostruzione.

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