«Troppo buono». Gesù e il centurione con troppa fede.
Omelia della Quinta dopo l’Epifania
Il soldato che non crede troppo alla propria bontà, crede invece alla Bontà che abita in Gesù. Un cuore credente simile a un recipiente vasto e carico del desiderio di essere riempito. E la legge della reciprocità nell’incontro con Dio accade.
Quando il Signore Gesù fu entrato in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente». Gli disse: «Verrò e lo guarirò». Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa». Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori, nelle tenebre, dove sarà pianto e stridore di denti». E Gesù disse al centurione: «Va’, avvenga per te come hai creduto». In quell’istante il suo servo fu guarito. (Mt 8, 5-13)
Difetto d’autostima
Dice di non essere abbastanza buono.
La traduzione italiana sceglie di comunicarci un’idea di indegnità, quasi che si tratti di una questione di rango, quella tra Gesù e il centurione.
Ma il soldato si sente, piuttosto, come uno che non ha quel che serve.
È convinto che la chiave d’accesso all’incontro con Gesù sia la bontà, ma lui non ne ha a sufficienza.
L’amore che dimostra per il suo servo, trattandolo come uno di famiglia, ci fa pensare a un uomo dal cuore grande e generoso.
Ciò non gli impedisce di giudicarsi come uno che «non ci è arrivato», un uomo buono, ma non riuscito.
Sembra uno pronto per un corso sull’autostima, quelli per imparare a credere in se stessi.
L’intuito, comunque, gli aveva detto giusto: quell’uomo di Nazareth grondava benevolenza, compassione e bontà. Ogni gesto, ogni parola, la sola sua presenza rendevano vivo ed efficace un Bene come mai se n’era visto.
Il terreno su cui incontrare Cristo e comprenderne l’identità autentica era davvero quello della Bontà.
Non quella sentimentale e sdolcinata, quella che si muove tra il poetico e l’ingenuo. Una Bontà seria, tanto rigorosa nel suo essere da apparire severa.
Un passione per il bene dell’altro - di ogni altro - così intensa da diventare legge morale. Una determinazione per l’affermazione della vita altrui così limpida da sfiorare la follia. Una disponibilità all’accoglienza paziente e magnanima del prossimo con tutte le sue contraddizioni da apparire sconsiderata.
La domanda con cui Gesù sembra voler raffreddare lo slancio del centurione è di quelle che scoraggiano: «Devo davvero guarirlo? Sei sicuro che debba venire a casa tua?».
La traduzione italiana non consente di cogliere il tono interrogativo e freddo delle parole di Gesù. Un giudeo ella casa di uno straniero? Il Messia di Israele chiamato a dedicarsi a un pagano?
Ce n’è a sufficienza per far dubitare del fatto che la Bontà del Nazareno abbia le misure infinite della compassione divina.
Eccesso di fede.
Il soldato, però, che non crede troppo alla propria bontà, crede invece alla Bontà che abita in Gesù.
Non conta che lo onori della visita, non serve nemmeno. Non importa se non avrà l’onore di ospitarlo sotto il suo tetto, importa che i lembi di quella potenza benevolente si posino per un attimo sul servo amato.
Se l’occhio del centurione non sa vedere se stesso nella giusta luce, rivolto verso Gesù dimostra uno sguardo che fa teologia: «Se la mia bontà è insufficiente, la tua non conosce misura è solo in essa c’è salvezza, dice convinto a Gesù con la metafora militaresca.
Lo stupore di quest’ultimo è forte a tal punto da condividerlo con quelli che lo seguivano. Nulla di ciò che c’è in quel centurione si è mai visto in Israele.
Ma viene da pensare che ci sia di più. Come se il soldato avesse intravisto qualcosa che Gesù ancora non aveva definitivamente messo a fuoco.
Nella fede del centurione c’è il Regno che cresce. In modo inaspettato e imprevedibile: fuori dai confini di Israele. È la realtà del Regno che prevale sull’idea.
L'idea di una salvezza elitaria fino ad essere discriminatoria.
Per qualcuno, non per tutti.
Gesù non fa altro che riconoscere ciò che già è avvenuto.
La fede del centurione è un vuoto pronto per essere riempito di Grazia.
«Ti sia dato secondo il modo in cui hai creduto», sentenzia il Cristo.
Aveva creduto all’insufficienza della propria bontà e proprio questo faceva di lui uno spazio buono perché la Grazia agisse.
Scontrandosi con la propria pochezza, aveva riconosciuto e accolto l’infinita misura della Bontà di Dio presente nelle parole e nelle opere di Gesù.
Un cuore credente simile a un recipiente vasto e carico del desiderio di essere riempito.
E la legge della reciprocità nell’incontro con Dio accade.
La sorgente del suo Amore fluisce con abbondanza tanto più quanto più lo si invoca, lo si spera, lo si attende.
Non c’è una Bontà da acquistare con la valuta delle proprie opere buone. C’è una Bontà senza misura, a cui affidarsi e in cui immergersi nonostante la perenne insufficienza del bene che sappiamo fare.
Consolante. Provocante. Sorprendente.
Un episodio dalla forte carica consolante.
C’è un limite al Buono che Dio sa e intende costruire?
Solo quello che noi poniamo non credendo alla potenza del suo Bene.
Un episodio dal severo carattere provocante.
Quante volte capita di cadere nella presunzione di essere più che sufficienti nella bontà e di sentirsi nella posizione di meritare favori e aiuti divini?
È la malattia dell’essere troppo pieni, tanto da non lasciare spazio per accogliere il Signore.
Un episodio sorprendente nel mostrarci la docilità di Gesù.
La realtà che gli sboccia davanti agli occhi plasma il suo modo di essere Salvatore. Così accade grazie al suo permanere in ascolto della voce del Padre e dei segni del Regno che cresceva.
Lasciare che la realtà parli alle nostre idee - di fede ma non solo - è rispondere a una precisa chiamata di Gesù, presente nel suo modo di essere uomo e credente.