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A Nazareth, nella bottega di Giuseppe il carpentiere. Per imparare che andare dietro a suo figlio Gesù, cercando di compiere la volontà di Dio, è vivere un Natale quotidiano. Quello in cui si viene messi al mondo ogni giorno come fratelli e sorelle da un'unica Volontà di comunione.
«Chissà perché, ma la pensavo più piccola» esordisco io, per rompere il ghiaccio. «La bottega? Oh, me lo dicono tutti!» mi rispondi tu allungandomi una tazza di vino aromatizzato mentre ti chini a lavarmi i piedi in un gesto che mi è familiare.
Già, chissà perché di te ci siamo fatti questa idea un po’ da Mastro Geppetto secondo il Vangelo. Invece tu, Giuseppe di Nazareth, sei carpentiere e questa - va detto - è una signora bottega.
Lasci cadere i miei complimenti col fare modesto che solo gli umili hanno e descrivi, con un velo di malinconia, la fatica di dover mandare avanti tutto da solo: Gesù è partito da tempo e tu non ti sei ancora riorganizzato.
Maria non c’è. E’ con Gesù. Tu invece no, tu non vai mai da Lui. Non è per te - dici - tu sei solo un carpentiere. Le donne, sì, che sanno quel che c’è da fare, ma tu? Tu, saresti d’impiccio.
Lo accompagni da qui, piuttosto, dalla tua officina, sostenendolo coi frutti del tuo lavoro che Maria regolarmente Gli porta. D’altronde, è quel che sai fare. E’ quel che puoi fare. E’ quel che hai sempre fatto e di cui sei sinceramente orgoglioso.
Ebreo, carpentiere, marito e padre. Hai preso le mani ancora bambine di Gesù e ne hai fatto mani d’uomo. Che debbano tenere un martello, svolgere il rotolo della Torah, stringere la mano di un fratello, spezzare il pane della Pasqua, ora portano il segno delle tue stesse mani.
Ti emozioni fino alle lacrime nell’ascoltare dalle labbra di Maria le meraviglie che quelle mani osano compiere. E quanto li attendi i racconti di tua moglie! Sono un balsamo alla solitudine che hai scelto di sostenere. Un martirio silente e paziente reso ancora più acuto dalle voci di paese che sbeffeggiano e infangano il nome di tuo figlio.
Ti rammarichi sempre di non saper controbattere ma tu non hai troppe parole. Nemmeno all’angelo in sogno dicesti nulla. Fosti solo obbedienza. Scegliesti la fedeltà concreta e senza clamori a quel figlio, a quella donna, a Dio.
Continui ancora ad accompagnarlo così, da ebreo, carpentiere, marito, padre. Nel silenzio. Nella solitudine. In una fedeltà concreta e senza clamori. Come il lievito nella pasta hai agito, e ancora agisci, nella vita del Figlio di Dio.
«Ma tu sei venuto per Lui, vero?» mi chiedi, interrompendo il tuo racconto. «No, sono venuto per te». Un sorriso ti illumina il viso mentre abbassi lo sguardo e dici: «Di solito vengono a cercare Lui».
Da quando è partito sono molti gli stranieri che vengono a cercarLo e che, arrivando a Nazareth, si sorprendono di incontrare un padre carpentiere. «Sai, lui parla sempre di un altro Padre».
Avevo già notato che tra tutte le parabole usate da Gesù nessuna riguarda il suo lavoro. Gli chiedo se non sia una delusione per lui. Gli brillano gli occhi mentre recita a memoria: «Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica è simile ad un uomo che ha costruito la sua casa sulla roccia».
Già, sei tu. Sei proprio tu il carpentiere saggio che costruisce su basi solide. Che sciocco sono! E dove mai Gesù avrà imparato le basi dell’edilizia se non alla scuola di un carpentiere che frequentava cantieri? «Ma dunque ci sei anche tu nel Vangelo di tuo figlio!».
Basta questo a trasformarti in un fiume in piena. Sì, ci sei anche tu. Ci sei nella lavanda dei piedi, perché era tua abitudine lavarli agli ospiti come fanno i servi, invece che limitarti alle mani come da tradizione.
Sei tu quell’uomo che Gesù spiava mentre si ritirava in segreto nella sua stanza a pregare e che andava di notte a far elemosina ai poveri perché nel buio nemmeno la sua destra sapesse ciò che la sinistra faceva.
Vide te, Gesù, regalare una porta nuova a un uomo che minacciava di rifarsi al giudice per una riparazione mal fatta alla ruota del carretto.
«Diamo a Cesare quel che è di Cesare» ripetevi a tuo figlio ogni volta che pagavi la tassa per il tempio.
E anche quando il lavoro non era florido, ammirava la tua delicatezza nel non far mai mancare alla tua sposa qualche libbra di prezioso profumo.
Deve, infine, ringraziare sempre te se imparò il mestiere del pastore la volta che lo costringesti a lavorare sotto padrone per farsi un po’ le ossa.
Sì, ci sei anche tu nel Vangelo di tuo Figlio. In modo nascosto, anonimo ma fecondo e concreto, come il lievito nella pasta.
«Ma non mi hai ancora detto il motivo della tua visita!» mi dici, scuotendo via dagli occhi i tuoi ricordi. «La nascita, sono venuto per chiederti del Suo Natale». Torni silenzioso.
I tuoi occhi prendono il colore dell’abisso, come se sporgessero verso un mistero infinito. «Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella, padre e madre». Reciti queste parole con lentezza e solennità spiegandomi con pudore che quel Vangelo, più di ogni altro, sei tu.
E’ così. In te - e nella tua sposa - Gesù ha visto realizzarsi la familiarità secondo la fede, fondata sulla volontà di Dio, nutrita dallo Spirito Santo. In te che fosti suo padre solo per disegno divino. In te che fosti marito di Maria prima secondo la volontà del Padre che secondo il tuo desiderio di uomo. In voi che lo Spirito ha reso fecondi più che i vostri corpi. In quella vostra casa in cui, certamente, imparò a guardare lo straniero come un amico e il nemico come un fratello.
Tu, Giuseppe carpentiere di Galilea, hai fatto tuo malgrado una teologia delle relazioni, insegnando al tuo stesso figlio che la fede nella volontà di Dio crea legami più potenti di quelli di sangue, vincoli con diritti e doveri ancor più intensi e coinvolgenti di quelli di parentela.
In te, nella tua sposa, nel vostro figlio si inaugura una nuova economia dei rapporti umani: la familiarità secondo il Vangelo.
Mi racconti il brivido intenso che provasti quando Maria ti raccontò quell’episodio citandoti le parole del Figlio. Fu allora che capisti qual era stata la grandezza della tua vocazione e come, insieme alle mani di quel bimbo, tu guidasti il suo cuore e persino la sua fede.
Furono quelle parole - «Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella, padre e madre» - il tuo Natale, vero Giuseppe? Udendole comprendesti, finalmente, che nella mangiatoia aveva preso carne il desiderio di Dio per una nuova storia di comunione tra gli uomini. Una comunione che superava le misure dell’uomo, della sua carne e del suo sangue.
E’ tardi, me ne vado. Mi stai già guardando come un figlio mentre ti saluto e mi allontano. E giunge sbiadito il suono della tua voce: «...come in cielo, così in terra».
Viene così, ogni giorno, la potenza amorosa del Padre.
In coloro che nel silenzio e nel nascondimento tessono trame evangeliche costruendo relazioni fondate sulla parola di Cristo, nel coraggio di andare oltre il calcolo, la misura umana, il riscontro del sangue.
In chi nell’anonimato più oscuro si rende disponibile ad amare al modo di Gesù, lontano dalla luce dei riflettori e dalla ribalta delle istituzioni, degli apparati, delle strutture, delle strategie pastorali.
Nelle donne e negli uomini che fondano un’economia nuova di relazioni e rapporti umani in cui l’altro - chiunque sia questo altro - è parte integrante e vitale della mia esistenza, perché Cristo l’ha chiamato, lui come me, fratello.
Così come ha fatto Giuseppe, carpentiere di Nazareth, marito per fede e padre per volontà di Dio.