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I piedi sporchi di fango.
La terra sotto le unghie.
La veste che sa di sudore, di lacrime e di sangue.
Entra così nel «nuovo tempio» che sta costruendo.
Quello fatto di ori e pietre scintillanti non è più casa sua.
Non lo è mai stata.
Gli idoli sono argento e oro, opera delle mani dell'uomo. Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono, hanno narici e non odorano. Hanno mani e non palpano, hanno piedi e non camminano; dalla gola non emettono suoni.
È come loro chi li fabbrica. Senza Vita.
Lui non è il Dio luminoso e affascinante, splendido e ammaliante.
Non è il sovrano degli ori e degli sfarzi, meravigliosi e gelidi.
Non abita il palazzo delle liturgie suadenti, delle danze seducenti e dei riti inebrianti.
Il Dio vivo, il Dio della Vita ne porta i tratti, anonimi e terreni.
Di fango, di sudore, di lacrime e sangue è fatta la veste che porta la sera della Comunione Prima.
Coena Domini.
La cena della Comunione primigenia, originaria.
Quella che sta al principio, al fondamento di ogni Comunione.
L'Origine, le origini di tutto sono il racconto di una Comunione.
Vita condivisa, fango che si mescola con lo Spirito vitale.
L'Umano, il Creato e Colui da cui viene ogni cosa, intrecciati nell'unico mistero di Vita.
Dio immischiato.
L'abito della Coena Domini non è una veste immacolata, l'abito da cerimonia di chi ostenta il suo distacco o il costume di scena di un teatro di posa.
Il vestito sgualcito della Comunione Prima è un'intimità provata sulla pelle.
Sono i connotati sfatti di chi si è immischiato.
Di chi si è invischiato con l'umano.
Sono il volto di un terrestre, un adam fatto di terra e spirito.
Uno scambiato per delinquente, per bestemmiatore, per peccatore, per nemico della patria, affabulatore di folle, profittatore di deboli e creduloni.
È il prezzo della vera Comunione.
L'abito della sera del Getsemani è strappato dal tradimento, fatto a brandelli dalle promesse non mantenute e dalle attese non corrisposte, lacerato dalle parole ambigue e dalle intenzioni dubbie.
La veste per entrare al «banchetto nuziale» non è certo la veste di un re.
Piuttosto la tuta di chi torna dal lavoro.
Il grembiule di chi ha appena finito di servire.
Sporco, lacero, logoro.
Sono i panni di chi fa dei legami la propria casa, esponendosi all'altro o all'altra senza armature e protezioni.
L'esito del contatto con l'umano che per quanto buono, non smette di mostrarsi un «poco di buono».
Sull'uniforme della Pasqua ci sono gli schizzi di fango delle cecità dei discepoli, delle loro pigrizie e durezze del cuore, del colpevole stordimento, dell'irresponsabilità e della viltà.
Ma anche le impronte dei loro onesti sforzi dell'esserci comunque, del tentativo abbozzato e goffo di una lotta, della volontà di imbastire una qualche forma di resistenza, folle ma sincera.
Del disperato slancio di voler essere almeno amici buoni.
Entra nel Cenacolo già imbrattato dai giochi politici, delle manipolazioni religiose e delle calunnie omicide in cui non l l'hanno gettato, ma nei quali si è tuffato.
Per percorrerli in lungo e in largo, a profonde bracciate.
Intrecciando discorsi, chiamando conversioni, confutando menzogne, offrendo alternative.
Aprendo la porta della Comunione a chi costruiva serrande di risentimento e violenza.
Si inginocchia tra gli ulivi con la tunica contaminata e appesantita dalle idolatrie che l'hanno assediato dal deserto fino a quell'orto.
Quelle di chi - anche tra i suoi - adorava e cercava il Dio violento e vendicatore, e sognava di colorare il Maestro coi trucchi del risolutore prodigioso.
Scorie pesanti e soffocanti che gli mozzano il respiro amamte, pieno dello Spirito del Padre della Vita.
È fatto così il vesitto della Comunione Prima. Primigenia, originaria.
Quella che sta al principio, al fondamento di ogni Comunione.
Lo porta chi inter-cede, chi fa un passo in mezzo all'umanità.
Tra le ragioni e i torti, tra amici e nemici, tra complotti e malintesi, tra potenti e deboli, tra ricchi e poveri, tra peccatori e santi.
Fa un passo in mezzo, ma non per stabilire vincitori e vinti o costruire un seppur nobile compromesso.
Solo per dire all'uno e all'altro: io sono con te.
Un vestito che puzza di sudore, lacrime e sangue.
Con la terra sotto le unghie e i piedi sporchi di fango.
La Pasqua di Gesù è un'inter-cessione, il suo definitivo mettersi in mezzo.
Non tra Dio e l'umanità, per placare le ire del primo e redimere i peccati della seconda.
Ma tra un uomo e l'altro, tra una donna e l'altra.
In solidarietà estrema, con una mano sulla spalla di entrambi.
Offrendo a ciascuno gli occhi di un fratello, fatto della stessa terra, dello stesso Spirito.
Senza smettere però di sapere e dire che cosa sta accadendo.
Chiamando sempre la violenza per nome, l'ingiustizia come tale, l'aggressione per quel che è, il tradimento nella sua realtà.
Ma abbracciando l'umano comunque sia.
Non importa quante spine e quanti spigoli taglienti abbia.
Quel vestito della Comunione Prima è il vestito che inaugura la Comunione.
Si fa così. Sporcandosi e pagandone il prezzo.
Perché la Comunione non è un pezzo di pane miracoloso o una magia divina elargita in risposta a opportune devozioni.
La Comunione è ciò che nasce quando si ha il coraggio di mettersi in mezzo, in barba al fango, nonostante le lacrime, il sudore, il sangue.
È così che sono gli operatori di Pace del Vangelo.
Chi vuole inter-cedere, si mette in mezzo.