Il dottore della legge conosce i comandamenti. Di più, sa bene che il cuore della Legge sta nel comando dell'amore, quello che tiene insieme l'amore per Dio e l'amore per il prossimo. Ma quel «prossimo» è un problema e per risolverlo, ci vuole un shock religioso-culturale. Ci pensa Gesù.
Ed ecco, un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: "Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?". Gesù gli disse: "Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?". Costui rispose: "Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso".Gli disse: "Hai risposto bene; fa' questo e vivrai”.
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: "E chi è mio prossimo?". Gesù riprese: "Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all'albergatore, dicendo: "Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno". Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?". Quello rispose: "Chi ha avuto compassione di lui". Gesù gli disse: "Va' e anche tu fa' così”. (Lc 10, 25-37)
ASCOLTA L’INTERVENTO:
INDICE DELLA LECTIO:
1. Contesto e inquadramento del brano.
2. Retroterra storico culturale delle immagini.
3. Note per la comprensione del brano.
4. Approcci interpretativi.
BIBLIOGRAFIA.
Zimmermann, RubenCompendio delle parabole di Gesù., Brescia, Queriniana, 2011.
Bovon, Francois Vangelo di Luca, Brescia, Paideia, 2005.
Rossè, Gerard Vangelo di Luca, Roma, Città Nuova, 2006.
Da Spinetoli, Ortensio Luca, Assisi, Cittadella, 1999.
Contesto e inquadramento del brano.
La parabola si trova all’interno della grande sezione del Vangelo di Lc caratterizzata dal dirigersi di Gesù verso Gerusalemme, che occupa larga parte dello scritto lucano (Lc 9,51-18,14). Il viaggio è frutto della ferma determinazione da parte di Gesù di giungere alla piena rivelazione del volto del Padre, nei suoi tratti amorevoli, misericordiosi e salvifici.
Alle resistenze riscontrate, risponde con un’accresciuta convinzione. Se non bastano la predicazione, la prossimità ai peccatori, le guarigioni, le bocche sfamate si deve procedere oltre, fino all’estremo. La Croce verso cui cammina sarà il modo con cui mostrerà il vero aspetto di Dio proprio a coloro che intendevano cancellarlo.
Nella prima parte di questo viaggio, Gesù affronta in modo particolare nel suo insegnamento il tema della sequela di Gesù nei suoi aspetti essenziali e fondamentali.
Questa duplice cornice dà al racconto del Samaritano una speciale luce e un peculiare peso: l’agire esemplare di quest’uomo ha direttamente a che vedere con quello di Gesù nel compimento pasquale e si propone come riferimento imprescindibile per il discepolo che intende seguire il Maestro.
La circostanza immediata è un dialogo tra uno scriba e Gesù riguardo il raggiungimento della vita eterna.
Lo scambio segue uno schema preciso composto da due parti (25-28 e 29-37b) nelle quali sono presenti in parallelo: una domanda dello scriba, la contro-domanda di Gesù, la risposta dello scriba e l’appello di Gesù ad agire.
La parabola si incastona nella seconda parte immediatamente prima della contro-domanda del Maestro, divenendone un ampliamento e allo stesso tempo l’escamotage attraverso cui Gesù conduce al cuore la questione posta dalla scriba.
La discussione mette a tema il raggiungimento della vita eterna e l’osservanza dei comandamenti. La combinazione dell’amore per Dio e per il prossimo (Dt 6, 5 e Lv 19, 18) è la chiave interpretativa della Legge e l’unità dei due comandamenti non è una novità introdotta da Gesù ma data per assodata già in precedenza, prova ne è la risposta dello scriba.
Il centro della questione infatti non è tanto l’amore in quanto tale ma il suo destinatario: «Chi è il mio prossimo?».
Va precisato che “l’amore” nel contesto ebraico, si riferiva a degli ambiti ben precisi e delimitati. Il soccorso a un bisognoso, ad esempio, non era considerato una concretizzazione dell’amore ma una semplice opera di pietà o, al massimo, un atto di giustizia a imitazione dell’agire di Dio.
Occasioni d’amore erano piuttosto il rapporto con Dio, la relazione uomo-donna, il legame genitori-figli, l’amicizia, perfino il rapporto padrone-schiavo.
Il collegamento tra l’opera di giustizia e l’amore viene perciò stabilito dalla parabola, come una novità.
Va anche ricordato che, con riferimento alla legislazione mosaica, «prossimo» era solo l’Israelita di nascita e dunque il forestiero e il nemico non rientravano di diritto nel comando di Lv 19, 18, ma erano considerati oggetto d’amore solo per estensione del comando (Lv 19, 34).
I Samaritani - per quanto condividessero la Legge e la circoncisione - non erano considerati né connazionali né prossimi. La parabola, dunque sembra mettere insieme tutto ciò che tradizionalmente non poteva stare, facendo cadere ogni tipo di distinzione e categorizzazione attraverso un piccolo shock culturale-religioso.
Retroterra storico-culturale a cui si riferiscono le immagini.
1. Il luogo
Gerico e Gerusalemme distano 27 km e 1150 mt di dislivello (Gerusalemme 750m s.l.m e Gerico -400m s.l.m.) di deserto roccioso e aspro. La strada a cui Gesù si riferisce non è quella tracciata in epoca tardo romana ma più probabilmente lo wadi Quelt che conduceva al Giordano, stretto, difficilmente percorribile e favorevole agli agguati dei briganti per la presenza di numerosi anfratti e insenature. Il termine usato per definire i briganti è quello genericamente usato per definire i criminali violenti; di essi appare evidente solo l’efferata crudeltà.
2. Il sacerdote e il levita
Nel periodo del Secondo Tempio i sacerdoti e i leviti erano tanto cresciuti di numero da raggiungere le diverse migliaia, così, da dover essere divisi in turni per prestare servizio cultuale. Risiedendo in maggioranza fuori da Gerusalemme, vi si recavano una volta l’anno per una quindicina di giorni a svolgere la propria funzione. Compito loro, oltre all’ufficiatura rituale, era quello di insegnare, giudicare e imporre le purificazioni a chi ne aveva necessità. Erano considerati più santi degli altri e dovevano sottostare a particolari regole di purità. I leviti (membri della tribù di Levi) ricoprivano un ruolo simile al sacrestano, con alcuni compiti di preghiera, di guardia al portone del Tempio e, in qualche caso, anche di insegnamento. Non dovendo svolgere riti sacri non sottostavano alle regole di purità sacerdotali.
3. Il samaritano
I Samaritani erano considerati dai Giudei oltre che stranieri, anche infedeli e idolatri. Erano un gruppo interno all’ebraismo che ruppe con il resto a seguito della costruzione del Secondo Tempio e la fondazione di un santuario samaritano sul Garizim nel IV secolo avanti Cristo. Nel II secolo il santuario fu distrutto per mano giudea e da lì nacque l’ostilità aperta. L’inserimento di un Samaritano tra personaggi del culto del Tempio in una discussione che riguarda la Legge dovette suonare parecchio fastidioso agli ascoltatori di Gesù.
4. L'albergatore
Nel mondo greco-romano esistevano due generi di alberghi: quelli non commerciali (katalymata) in cui si praticava il dovere dell’ospitalità sacro in Oriente; quelli commerciali (pandocheion) che godevano di pessima fama, perché era vergognoso prendere soldi dagli ospiti, perché erano frequentati da gente di classe inferiore e anche perché spesso erano luoghi di prostituzione. Di conseguenza anche gli albergatori erano considerati personaggi di pessima fama e in Palestina era una professione esercitata quasi solo da non ebrei. Non esistono tracce che parlino di alberghi come luogo di cura di malati o bisognosi.
Il testo parla chiaramente di un albergo di carattere commerciale.
Note per la comprensione del brano.
a) 10, 25-27
Il dottore della Legge ha un approccio ostile che però passa in secondo piano grazie alla portata decisiva della sua domanda. La questione della vita eterna è l’interesse di Lc.
È lo stesso scriba a mettere insieme i due comandamenti dell’amore chiarendo subito che non c’è separazione tra le due direzioni e mostrando il volto di un Dio totalmente «fuori di sé» se l’amore per Lui si manifesta concretamente nell’amare il prossimo. L’unione dei due comandamenti tira fuori la religione dal Tempio e la fa entrare nella vita quotidiana e non esiste più divisione tra doveri verso Dio e doveri verso l’uomo.
Sorge sempre la domanda se l’amore possa essere oggetto di un comandamento e come possa mantenere la sua autenticità nella misura in cui è il risultato di una imposizione.
Da chiarire è il fatto che «amare Dio» va collocato nella logica dell’Alleanza, perciò di un legame fedele e indissolubile che si concretizza in fiducia e obbedienza. Dunque in un simile legame non esiste coercizione e il comandamento va inteso come atto d’amore di Dio.
La pratica concreta del comandamento è la via della vita.
b) 10, 28-37
Non sappiamo da cosa e perché lo scriba voglia giustificarsi, sta di fatto che ciò che domanda a Gesù - considerato il senso originale di “prossimo” - è di delimitare all’interno del popolo dell’alleanza le frontiere dell’amore.
La parabola sposta completamente il piano della questione.
Nella scelta di due “religiosi” non dobbiamo leggere una critica al sistema del Tempio o un celato “anti-clericalismo” (il fatto che non vengano addotte motivazioni di purità relative all’indifferenza ci dice che l’obiettivo di Gesù non era quello), solo l’intenzione di creare un forte contrasto con il Samaritano, il quale, dopo due personaggi simile, è l’ultimo che ci si aspetterebbe di vedere entrare in scena.
Il “vedere e passare” laconico e freddo denuncia l’indifferenza dei due. Tentare di analizzare le ragioni della loro indifferenza lascia il tempo che trova. La parabola è costruita perché si crei un forte contrasto tra il loro comportamento e quello del samaritano.
I racconti del tempo avevano spesso una struttura tripartita nella quale il terzo passaggio era risolutivo. Dunque lo scriba sapeva bene che col terzo personaggio ci sarebbe stato l’epilogo narrativo, felice o infausto. Alle sue orecchie e a quelle della mentalità comune, se neanche un sacerdote e un levita si fermano dal malcapitato, per lui non c’è alcuna speranza.
La descrizione delle azioni del soccorritore è fatta con estrema cura per creare la distanza con gli altri due che vedono e passano. La caratteristica più forte del Samaritano, al di là della concretezza, delicatezza e accuratezza dei gesti, è la «compassione».
Il verbo originale indica il trasporto viscerale e uterino con cui Jahvé guarda i deboli e i poveri, lo stesso con cui Gesù guardava le folle che lo cercavano e i miseri che lo chiamavano. Si trattava di una attribuzione molto forte perché l’avere compassione di Jahvé era associato letteralmente al ridare vita a colui che era sofferente.
Il coinvolgimento dell’albergatore estende nel tempo e nello spazio la cura offerta. Il Samaritano paga ma pretende (usa un imperativo) che il trattamento riservato sia lo stesso che lui ha garantito.
La domanda di Gesù ribalta la prospettiva e lo scriba non può che riconoscerne la correttezza. Tuttavia lo fa utilizzando un’espressione differente, parlando cioè di «pietà», anziché di «compassione». Ciò perché il grande scandalo della parabola sta nell’aver attribuito ad un uomo, anzi due - oltretutto infedeli o considerati distanti da Dio - la stessa capacità di amare di Dio. Cosa che per lo scriba risultava assolutamente inaccettabile.
La Misericordia viscerale di Dio è appannaggio suo, gli uomini si limitano ad altro: affermare il contrario come Gesù fa, allargando oltretutto scandalosamente la schiera di coloro che sono chiamati ad amare in quel modo, è insostenibile.
Approcci interpretativi.
1. Approccio etico.
La parabola è inserita in un discorso etico, cioè circa ciò che va fatto e ciò che non va fatto. Il riferimento ultimo per tutti coloro che ascoltavano la parabola ma anche dei tre uomini al centro del racconto era la Legge mosaica. Ciò che appare evidente però è il fatto che la parabola non mostra alcun interesse a discutere riguardo ai comandamenti, neppure quello dell’amore. Al centro del racconto e come chiaro punto di svolta sta la «commozione» del Samaritano, cioè quel coinvolgimento viscerale per l’altro che già abbiamo descritto. Il criterio etico non è dunque una distinzione di categorie di persone, bensì un atteggiamento da tenere verso l’altro.
La domanda di Gesù «Chi è diventato prossimo» chiarisce che qui non viene indicata banalmente un’azione da compiere - “Che cosa devo fare?” - ma un’identità da assumere, si tratta di diventare «soggetto di compassione» nei confronti dell’altro. Potremmo dire così: un cristiano diventa «soggetto etico» - cioè agisce davvero - nella misura in cui si fa compassione.
Abbiamo spesso neutralizzato questa chiamata scandalosa identificando Gesù con il Samaritano, operando cioè lo stesso tentativo dello scriba del «chiamarsi fuori» dall’invito a convertirsi alla compassione di Dio. Se il Samaritano è Gesù… Ma io sono diverso…
2. Approccio antropologico.
L’effetto sugli ascoltatori dovette essere dirompente. Dopo il passaggio dei due uomini del culto per il viandante non pareva esserci ai loro occhi alcuna speranza. L’ingresso del Samaritano come salvatore è la contraddizione palese delle normali aspettative dei contemporanei di Gesù.
A noi provoca meno irritazione e ci schieriamo facilmente dalla parte del Samaritano, cadendo nella trappola narrativa della parabola stessa.
Il racconto spinge a superare le barriere culturali e religiose che però, col nostro metterci “dalla parte giusta”, immediatamente rialziamo. Così sperimentiamo il dato antropologico alla base della parabola: il comportamento disumano dei primi due è in realtà il più universalmente umano. Tutti ci auto-giustifichiamo: solo ammettendo questo facciamo crollare ogni barriera.
3. Approccio diaconale
La conclusione con l’affidamento all’albergatore offre alcuni spunti interessanti. Il primo è la considerazione che la consegna non è un fatto di compassione o di amore per il prossimo ma di puro commercio; oltretutto la cura viene richiesta a un uomo considerato decisamente un poco di buono.
Il secondo è la considerazione del fatto che la parabola in quanto tale non è per nulla un inno a «quell’amore in totale spirito di abnegazione e dedizione» che negli ambienti ecclesiali va per la maggiore e che, non di rado, si configura come una vera “sindrome del Samaritano” che spinge molti a sacrifici fuori dalla loro portata e, quasi certamente, fuori anche dal volere di Dio.
Il Samaritano si dedica al ferito con grandissima cura ma senza esaurirsi nella sua opera salvatrice. Il giorno dopo già riparte per i suoi affari e nel suo pagare l’albergatore possono essere lette due sottolineature: la gratuità non può essere pretesa, ma la corresponsione di una somma non squalifica l’assistenza dell’albergatore (chiamata comunque “cura”); il coinvolgimento di altri senza sfinirsi nell’assistenza può leggersi come una presa di consapevolezza di sé da parte del soccorritore.
C’è un necessario e dovuto riconoscimento del limite nell’amare. La scena dell’albergatore corrisponde al «come te stesso» del comandamento: «L’amore di Dio richiede la dedizione completa, mentre l’amore per il prossimo ha il suo criterio e il suo limite nella salvaguardia di propri legittimi interessi» (Zimmermann). Obiettivo della parabola è far cadere la contrapposizione tra compassione e delega ad altri. (Cfr. le tante situazioni di assistenza familiare…)