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«La parola di Dio venne su Giovanni». Lectio di Lc 3, 1-18

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Lectio e Omelie

«La parola di Dio venne su Giovanni». Lectio di Lc 3, 1-18

Cristiano Mauri
Nov 22, 2019
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«La parola di Dio venne su Giovanni». Lectio di Lc 3, 1-18

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Questa Lectio è stata proposta all'interno di cinque serate di approfondimento dei Vangeli delle Domeniche di Avvento, svolte nella Comunità Pastorale Madonna del Rosario di Lecco.


Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilene, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto.

Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!».

Alle folle che andavano a farsi battezzare da lui, Giovanni diceva: «Razza di vipere, chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque frutti degni della conversione e non cominciate a dire fra voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Anzi, già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco».

Le folle lo interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto». Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».

Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile». Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo. (Lc 3, 1-18)


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INDICE DELLA LECTIO:

1. Contesto e inquadramento del brano.

2. Note di comprensione del testo.

2.1. La Storia (vv. 1-2).

2.2. La profezia e la vocazione (3-6).

2.3. La predicazione e la minaccia (vv. 7-9).

2.4. Gli interlocutori e il cambio di vita (vv. 10-14).

2.5. Il Messia (vv. 15-18).

3. Spunti di riflessione.

3.1. Vivere (spunti per la conversione del quotidiano).

3.2. Celebrare (spunti per l’Eucaristia).

3.3. Riconciliarsi (spunti per la Confessione).


BIBLIOGRAFIA.

  • Bovon, Francois Vangelo di Luca, Brescia, Paideia, 2005.

  • Rossè, Gerard Vangelo di Luca, Roma, Città Nuova, 2006.

  • Da Spinetoli, Ortensio Luca, Assisi, Cittadella, 1999.


Contesto e inquadramento del brano.

I Vangeli dell’infanzia si sono appena conclusi e Luca ha costruito abilmente un intreccio tra le vicende di Giovanni e Gesù.

Due annunci di nascita straordinaria, due apparizioni evangeliche, due destini speciali per altrettanti neonati fuori dal comune.

Sono parenti e somiglianti eppure estremamente diversi e fin dagli inizi l’intreccio si caratterizza per sintonie e distanze.

La famiglia di Giovanni ha il pedigree nobile: Zaccaria è sacerdote, anziano, esercita il suo incarico nel Tempio, conosce le Scritture e della sua famiglia Luca si premura di dare anche la linea genealogica. Maria è una anonima ragazzina che non ha natali nobili, analfabeta e senza particolari conoscenze della Scrittura, di un villaggio sconosciuto e - pare - rissoso e malfamato della Galilea.

Zaccaria incontra l’angelo in un giorno solenne, in un contesto liturgico, riconoscendolo subito. Maria incontra l’angelo in un giorno qualsiasi, in una casa come le altre, senza inizialmente riconoscerlo e senza che al fatto segua alcuna condivisione o riscontro con altri.

Zaccaria si mostra dubbioso ed esprime parole di incredulità, come se non credesse che quella Parola che già Abramo e Sara, Anna ed Elkana ascoltarono, potesse toccare anche lui.

Maria ha da subito un atteggiamento collaborativo: la sua richiesta di spiegazione non è un dubbio o un’obiezione, bensì la richiesta di indicazioni ulteriori. Si sente interpellata direttamente e la storia della salvezza non è per lei una vicenda di cui essere spettatrice, anzi, tratta Dio come un interlocutore con il quale intrecciare un discorso.

Giovanni sarà profeta, ma mettendo radici in un terreno che potremmo dire “classico” e che sarà poi ribaltato da Gesù e dal suo stile. Di fatto lo vediamo all’opera in queste righe proprio come il più classico dei profeti.

Anche Gesù sarà profeta in Luca, ma sarà «il Profeta», colui che non solo parlerà di Dio e a suo nome, ma attraverso il quale si vedrà il Volto stesso di Dio.


Note di comprensione del testo.

Il brano che commentiamo è di carattere storiografico. Luca lo costruisce imitando la storiografia della sua epoca e rifacendosi in parte ai libri profetici dell’Antico Testamento, in particolare modo all’autopresentazione dei profeti e soprattutto al fatto che l’azione di Dio era preceduta proprio dalla loro predicazione.

Per questa seconda ragione fa anticipare l’attività pubblica di Gesù da questo lungo testo di descrizione del suo Precursore che, come già detto, declina la sua missione proprio secondo lo standard della profezia.

Guardando il testo dall’alto, appare facilmente identificabile una struttura in cinque parti ben distinte tra loro.

L’inquadramento storico dell’entrata in scena di Giovanni (vv. 1-2); la definizione della sua attività e la cornice scritturistica (vv. 3-6); la predicazione alle folle (vv. 7-9); la descrizione delle opere di conversione (vv.10-14); l’attesa del Messia (vv. 15-18).

La Storia (vv. 1-2)

Come entra in campo Giovanni?

Prima di lui deve entrare in campo un personaggio al quale anche il Battista deve obbedire: la Storia. Luca si impegna a far dialogare la vicenda di Gesù con questo personaggio, anzi, se lo dà come obiettivo all’inizio della sua opera. Come a dire che se non lo si fa interagire con la storia, il Vangelo resta muto.

Luca aveva già offerto una datazione all’inizio del primo capitolo («Al tempo di Erode, re della Giudea…») che ora aggiorna facendo scorrere una generazione.

C’è ancora il dominio romano, ma Luca ci tiene a datare relativamente ai sovrani di Israele. Erode aveva diviso il regno in tre parti tra tre dei suoi figli (Archelao, Erode Antipa, Filippo) a uno dei quali subentrò Ponzio Pilato, cui si aggiunse Lisania.

Insieme ai sovrani politici, Luca nomina due sacerdoti Anna ( in carica dal 6 al 15 d.C.) e Caifa (in carica dal 18 al 36 d.C.). Luca sembra considerarli entrambi come sommi sacerdoti, in effetti era uso indicare con «sommi sacerdoti» il collegio intero delle autorità religiose.

Ciò che va colto, in definitiva, è la descrizione della cornice storica nelle sue coordinate fondamentali. Gli eventi che vengono narrati da qui in avanti hanno una collocazione puntuale e precisa dentro il grande palcoscenico della storia, come a dire che non avvengono in un angolo oscuro e ignoto, ma nel cuore degli eventi che segnano le vite delle persone.

Il fatto che costituisce la grande svolta dell’umanità viene “sincronizzato” con le vicende della storia.

Presentata la Storia, ecco l’ingresso del Battista.

È un Altro a portarlo in scena, perché l’ingresso è descritto come una vocazione, secondo la tradizione dei grandi profeti: la Parola di Dio ha l’iniziativa e scende su di lui.

Non è Giovanni a entrare nella Storia, ma anzitutto la Parola di Dio, della quale il Battista sarà mediatore. Se ci fossero ancora dei dubbi sul cuore della sua missione, ora sono fugati: dovrà servire la Parola, proclamarla e esserne strumento.

Gli appassionati del personaggio selvaggio e ascetico che facilmente abbiamo in mente e che irrompe impetuoso e improvviso nel Vangelo restano un po’ delusi da Luca. Non ci sono elementi di esemplarità in lui, per ora, solo una funzione da svolgere.

La profezia e la vocazione (3-6)

Viene raggiunto dalla Parola nel deserto che è il luogo della vocazione, mentre la «regione del Giordano» è quella della predicazione. Questa seconda è un’espressione anticotestamentaria che ricorda Sodoma e Gomorra, una terra segnata dal peccato e dal bisogno di conversione.

Il peccato di Sodoma e Gomorra era la chiusura all’altro, la violazione dell’ospitalità e della sacralità dell’ospite. Era il peccato del cuore pietrificato e violente.

Giovanni predica in un territorio così, nel quale i cuori appaiono chiusi al Dio che chiede di essere ospitato, le strade per raggiungere l’animo delle persone si sono fatte accidentate.

Come già detto, non ci sono segni particolari a distinguere quest’uomo. Solo percorre il paese e predica. Il terreno va preparato e le strade riaperte.

Per quanto forte sia la sua parola, la sua missione non è però un’invasione divina, la salvezza di Dio avviene attraverso uomini e donne che accolgono la sua Parola facendola diventare “carne”. La salvezza avviene per un dialogo tra due volontà e due libertà: quella di Dio e quella della persona.

Perciò predica un battesimo per la conversione «in vista del perdono dei peccati», cioè invita a compiere un gesto per consegnare la propria esistenza alla misericordia divina.

L’accento è posto non sul giudizio divino ma sulla responsabilità personale. Il gesto con l’acqua da parte di Giovanni è solo un gesto di purificazione che punta anzitutto a far esprimere la volontà di cambiamento, sarà lo Spirito che verrà a cambiare radicalmente il cuore.

Un testo di Isaia (Is 40, 3-5) fa da cornice interpretativa all’azione del Battista, quasi che Luca dica: era proprio Giovanni quella voce che era stata preannunciata.

Non a caso, nella sinagoga di Nazaret accadrà con Gesù qualcosa di simile ma non sarà più l’evangelista a interpretare le profezie, sarà Gesù stesso ad attribuirsi una parola profetica (Is 61), affermando che in Lui stesso si compie la profezia: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l'anno di grazia del Signore» (Lc 4, 18-19).

L’intreccio tra i due continua, ma se in Giovanni si vede semplicemente il realizzarsi di una profezia, Gesù si propone come Colui che dà pieno compimento alle parole dei profeti, Colui che è il Compimento.

Per Giovanni, Luca scomoda una profezia di liberazione dall’esilio, che descrive il ritorno del popolo come un nuovo esodo, una marcia trionfale in cui Dio riconduce il popolo alla sua terra. Non una marcia penitenziale, ma un cammino festoso.

Giovanni apre le strade a una nuova era, il tempo che viene è un tempo di liberazione e di compimento delle promesse. La qualità del tempo che viene dopo di lui è totalmente innovativa.

Perciò occorre anche preparare e prepararsi. Quando c’era la visita solenne di un re o di un principe, era abitudine risistemare e decorare le vie lungo le quali sarebbe passato, allo stesso modo, considerata l’importanza della venuta attesa, la preparazione è irrimandabile.

Colui che viene, verrà per ogni uomo, senza distinzioni e tutti potranno «aver parte» (questo il significato di «vedere») alla salvezza portata. Ma pare che sia necessario anteporre qualche gesto che renda degni dell’incontro, sullo stile di una logica quasi retributiva.

Lo scarto con ciò che sarà il contenuto evangelico degli insegnamenti di Gesù è evidente. Il pensiero corre agli incontri di misericordia e salvezza che Gesù vivrà nel suo ministero e che non saranno preceduti da alcuna preparazione (Levi, Zaccheo, la peccatrice pubblica, il paralitico…) e anche a come viene narrata la misericordia nelle parabole corrispondenti.

La predicazione e la minaccia (vv. 7-9)

Come già detto, Luca è più interessato all’attività predicatoria di Giovanni più che quella battesimale. Le sue parole seguono lo stile del genere classico profetico della minaccia-giudizio.

Alla gente che viene a farsi battezzare riserva discorsi importanti che intendono scuoterla ma anche accompagnarne e sostenerne le intenzioni di cambiamento.

Giovanni si rivolge dapprima alle folle, da intendersi qui come l’Israele che lo raggiunge per ascoltarlo e farsi battezzare. Al tempo di Luca è già chiaro che l’attività di Giovanni e di Gesù non hanno prodotto grandi frutti, perciò la minaccia è già diventata un giudizio: i figli di Israele sono diventati come alberi sterili e saranno altri - i gentili - a diventare eletti.

I toni di Luca vanno qui intesi in senso penitenziale come rivolti principalmente alla propria comunità bisognosa di conversione. Le espressioni che mette in bocca a Giovanni sono prese infatti dalla parenesi cristiana, così che l’insegnamento del Battista sia attualizzato per i primi cristiani, membri della comunità lucana.

Il pericolo di accampare privilegi per sentirsi esenti dalla chiamata alla conversione doveva essere vivo anche negli ambienti di Luca. Così, a chi è tentato di opporre obiezioni a partire dalle appartenenze etnico-religiose («siamo figli di Abramo») l’evangelista ne ricorda l’inutilità.

Benché tutto resti nelle mani di Dio, la dimensione relazionale della salvezza è decisiva. Non si tratta di essere figli di Abramo, che Dio saprebbe plasmare dalla pietra e nemmeno costruirsi altre posizioni “di privilegio”.

Occorre colo far corrispondere alla volontà divina la propria. La forza di Dio sa svegliare cuori duri come pietre, ma resta il passo della decisione personale di adesione alla sua offerta.

La parabola di chiusura della minaccia è molto severa. La scure e il fuoco sono immagini del giudizio: non sono ammesse passività, occorre fruttificare, produrre opere degne di conversione. I frutti buoni sono necessari per scamparla.

Nella predicazione di Gesù osserveremo invece la misericordia prendere il sopravvento: i frutti di conversione sono quelli di chi è stato segnato dal perdono di Dio. Non ci sarà più da acquistare alcuna Grazia con il sudore della proprie penitenze. Piuttosto, sarà la forza dell’amore di Dio a mettere in moto e a concimare perché i frutti di vita buona sorgano abbondanti.

Gli interlocutori e il cambio di vita (vv. 10-14)

Alla minaccia seguono alcuni detti del Battista che non troviamo negli altri sinottici e che sono rivolti a diverse categorie di persone. Giovanni si mette l’uniforme da sapiente e dispensa consigli di vita buona.

La domanda della folla è specifica: chiedono che cosa devono fare, ovviamente per essere salvati. La risposta di Giovanni è essenziale e piana: del cibo e dei vestiti si conservi il necessario e quel che resta si dia ai poveri. Nessun ideale di povertà o di particolare ascetismo, solo il compimento del comando dell’amore del prossimo, perché a nessuno manchi il necessario.

Tocca poi a pubblicani e soldati, due categorie difficilmente considerabili come destinatarie della salvezza. Invece anche per loro c’è la chiamata alla conversione. I primi dovranno anzitutto impegnarsi ad essere onesti, richiesta da considerarsi, a quel tempo, assolutamente straordinaria. I soldati devono abbandonare i modi violenti, l’abuso di potere e delle armi per ottenere denaro.

Luca offre, così, due criteri per la definizione dei frutti di conversione: la condivisione e l’integrità morale. Per lui il peccato numero uno è la cupidigia, perciò è necessario condividere quel che si ha (che non vuol dire impoverirsi) e mantenere l’onestà.

È da notare come il Battista non domandi straordinarie pratiche penitenziali, né particolari scelte radicali, ma solo una vita ordinariamente vissuta secondo giustizia. Non è affatto poca cosa, ma è evidente come manchi ancora lo spunto della novità evangelica piena.

Il Messia (vv. 15-18)

La chiusura del discorso di Giovanni è dedicata alla legittima attesa di del popolo rispetto alla venuta del Messia. È un tema che tocca la gente nel «cuore», da intendersi come luogo delle decisioni e della volontà. Quell’attesa è qualcosa che ha a che fare con il determinarsi concreto della persona.

Ciò che la gente attende col Messia, dunque, non sono buoni pensieri, parole di consolazione, sentimenti che allevino le preoccupazioni, bensì un evento che tocchi la sostanza delle loro esistenze, che faccia far loro un salto di qualità, che trasformi in radice il modo di essere uomini e donne, di dare senso alle cose, di determinare la vita. Il cuore, appunto.

Dunque le domande sul Battista sono più che motivate e l’occasione è buona per il chiarimento. L’immagine del sandali e dei loro legacci è usata per definire, senza alcuna ombra di dubbio, le gerarchie: Giovanni si paragona, rispetto a colui che deve venire, a uno che è meno di uno schiavo.

Lo scarto si fa ancora più marcato se si scende sul piano del battesimo. Luca conosce già la forza del Battesimo cristiano e vive già il tempo della pienezza dello Spirito nella vita della Chiesa e dei credenti perciò non lascia margini di malinteso.

L’epoca del Cristo comporterà un incommensurabile salto di qualità e la trasformazione che sarà operata sarà profonda, non riducibile a un cambio di comportamento.

L’immagine del fuoco che tradizionalmente si riferisce al giudizio è qui associato allo Spirito per sottolinearne, invece, la potenza. Il tema del giudizio, però, resta presente e vivo con l’immagine delle mietitura, anch’essa biblicamente radicata.

La prospettiva del giudizio ultimo viene usata come incentivo alla conversione, ma il tono deve restare positivo, perché l’annuncio del Battista risulta anch’esso una «buona novella», così come il versetto finale sottolinea.

Giovanni, pur con toni diversi da quelli che userà Gesù, non appare qui come un castigamatti, bensì come colui che con la sua parola profetica, orienta verso l’incontro con il vero Messia, perciò non può che essere una parola lieta, la sua.


Spunti di riflessione.

In sintesi: chi è Giovanni?

È un uomo che vive per la Parola di un altro.
È un uomo che intuisce come la fede sia una corrispondenza di volontà tra Dio e l’uomo.
È un uomo orientato a Dio e che orienta al Vangelo che sarà annunciato.
È un uomo che sa di aver bisogno di un salto di qualità.

Vivere (spunti per la conversione del quotidiano)

La vita cristiana non è una vita sotto il narcotico di buoni pensieri spirituali utili a riuscire a ben sopportare i travagli del mondo o con i quali alienarsi dalle vicende drammatiche della Storia.

Tantomeno i cristiani sono gente che si perde in questioni di lana caprina, marginali nel senso dell’irrilevanza effettiva, di nessun impatto con la vita reale delle persone.

La Storia per i cristiani è un personaggio decisivo della loro vicenda di fede. La vita cristiana si costruisce nel dialogo costante della propria volontà di aderire al Vangelo e quel che la Storia mi mette di fronte.

L’impegno del cristiano è quello di collocare il Vangelo nella Storia che gli è dato di vivere e non il contrario.

Certo non per colonizzare la Storia a colpi di evangelizzazioni forzate, ma per maturare quella capacità profetica che è la virtù di parlare alla Storia del Vangelo facendola sentire interpellata, facendole avvertire che il Vangelo è «nella Storia, per la Storia, con la Storia».

In questo il Papa si sta davvero dimostrando un maestro.

Celebrare (spunti per l’Eucaristia)

Mentre ascoltiamo e raccontiamo la pur grande figura del Battista e facciamo nostri i comunque significativi consigli di sapienza che distribuisce, dobbiamo però avvertire quanto sia eccedente il messaggio di Cristo rispetto al suo.

Nell’annuncio di Gesù e nel suo compiere la profezia di Isaia, si tocca con mano quanto sia eccessivo il modo di amare e di esserci da parte di Dio a favore dell’uomo. I criteri della mera onestà e della giustizia sociale sono ampiamente superati in un modo di amare radicale e scriteriato.

Nell’Eucaristia si entra diventando eccessivi. Ci si prepara all’Eucaristia celebrando nella vita ordinaria qualche occasione di esagerazione di bene. Non per esserne degni o all’altezza, ma per entrare esistenzialmente nella stessa esperienza.

Nell’offertorio ci si troverà a consegnare molto di più del “frutto del lavoro”.

Riconciliarsi (spunti per la Confessione)

La domanda profonda da farsi non dovrebbe essere solo “se attendo il Signore”, “se lo sto cercando” o “se mi sto preparando”.

Piuttosto devo chiedermi qual è il «luogo» di me in cui mi esercito ad accoglierlo.

A quale livello di profondità gli permetto di scendere? Mi limito a tentare di correggere qualche atteggiamento oppure oso scavare per coglierne le radici? Lascio mettere in discussione le mie volontà, la sostanza delle mie decisioni e sono disposto a far miei i suoi desideri?

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