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Questo intervento è stato presentato all'interno del percorso di lettura continua del Vangelo di Marco, proposto da «Casa Nicodemo» di Pagnano, Merate (Lc).
Venne da lui un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: "Se vuoi, puoi purificarmi!". Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: "Lo voglio, sii purificato!". E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: "Guarda di non dire niente a nessuno; va', invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro". Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte. (Mc 1, 40-45)
Introduzione al brano
Il brano che affrontiamo è un tipico «racconto di transizione» tra due sezioni: l’avvio della attività pubblica di Gesù (il cosiddetto «trittico sinottico») e le prime controversie con le autorità religiose.
Un racconto di transizione è un procedimento con il quale si legano le parti contigue di una composizione tra le quali potrebbe risultare troppo netta la separazione.
Sono pericopi che si distinguono dal contesto immediato come se fossero una pausa del testo, ma contenendo riferimenti a ciò che li precede e anticipando i temi di quel che segue fanno da cerniera narrativa.
Qualche esempio. Nella sezione precedente Gesù opera numerose guarigioni alla presenza di molti testimoni, in contesti spazio-temporali molto bene definiti, mentre qui non troviamo nulla di tutto ciò. Inoltre viene introdotto un nuovo personaggio - i sacerdoti - finora assenti che anticipano le controversie con le autorità religiose che Mc si appresta a raccontare.
Di contro, non è difficile trovare molte somiglianze tra questa guarigione e quelle svolte a Cafarnao precedentemente narrate: il male personificato, l’imposizione del silenzio, il verbo «cacciare», l’immediato ritorno alla vita del guarito, il luogo deserto in cui Gesù si ritira.
L’emergere dei racconti di transizione dal fluire narrativo fa di essi un momento di sosta nel quale il lettore può soffermarsi ad approfondire i temi già ascoltati e appropriarsene attentamente, conservando però la percezione di avere ancora molto da conoscere e comprendere.
Cosa dunque abbiamo già visto di Gesù fin qui? Qual è il clima che Marco ha creato? Cosa si è capito rispetto alle domande che il titolo dell’opera - «Inizio del Vangelo di Gesù Cristo» - ha subito suscitato?
Anzitutto si è posta con forza la questione dell’identità del Nazareno e della sua autorità: chi è costui e da dove proviene l’autorità con cui fa tutto ciò? Lo spirito impuro scacciato dalla sinagoga ha aperto a riguardo uno squarcio che Gesù si è affrettato a richiudere immediatamente mettendolo a tacere.
Non abbiamo poi trovato fin qui alcun discorso ma solo azioni concrete, rapide, perentorie, efficaci. Le parole spese, tolto l’annuncio iniziale circa la prossimità del Regno e la necessità di conversione, sono principalmente orientate all’azione, rispetto alla quale non compaiono particolari spiegazioni o giustificazioni.
Da parte di Gesù, tutto è molto rapido, essenziale, sbrigativo e diretto a trasformare la circostanza che attraversa: guarigioni, chiamate, spostamenti repentini. È vicino e sfuggente, tocca e si sfila, guarisce ma non prende possesso.
Infine, abbiamo visto aperta la lotta contro il male che assedia l’uomo: Gesù la combatte e chiama a partecipare alla sua missione che sarà imponente, considerato il vero e proprio assedio posto dalle richieste della gente.
Il clima che Mc ha creato in poche battute è dunque misterioso, coinvolgente, inquietante, consolante, spiazzante, capace di incuriosire. Di risposte alle grandi domande, per ora ve ne sono ben poche.
Il brano che commentiamo contribuisce del tutto all’accrescimento del clima dei primi racconti soprattutto per via delle contraddizioni e paradossi che contiene: Gesù che tocca il lebbroso e poi lo scaccia, impone il silenzio e invia dai sacerdoti, l’emarginato che diventa evangelizzatore e l’evangelizzatore emarginato. Mc si conferma un Vangelo disorientante.
Lettura del testo
Venne da lui un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: "Se vuoi, puoi purificarmi!".
L’apertura del brano è repentina con quel presente storico - «E viene» - che Mc utilizza spesso per introdurre una scena. Non vi sono preamboli, si è immediatamente proiettati dentro l’azione, quasi strattonati dall’evangelista che pretende immediata attenzione a una nuova scena.
Non vi sono indicazioni di luogo né di tempo. Essendo un lebbroso colui che entra in scena, possiamo presumere ci si trovi fuori dai centri abitati, come imponeva la Legge (Lv 13, 45-46), anche se non è dato sapere quale fosse la sua effettiva applicazione. Certamente rigorosa per la Città Santa, non è improbabile che nei piccoli centri della Galilea non venisse rispettata strettamente.
In ogni caso, il luogo non è esplicitamente caratterizzato e sulla scena compaiono solo due soggetti: il malato e Gesù.
Del primo non si sa nulla, se non la condizione che lo caratterizza. Si tratta dell’unico lebbroso guarito in Mc, dunque questa può essere letta come al guarigione della «categoria lebbroso», cioè dell’emarginato, del condannato a morte, del senza speranza.
Il lebbroso, considerato impuro, normalmente tenuto a distanza e costretto all’isolamento sociale, veniva trattato come un morto che cammina. Della sorella di Mosè diventata lebbrosa (Nm 12, 12) si dice appunto che è «come uguale alla morte».
Guarire un lebbroso era perciò pari a risuscitare un morto, una cosa che solo Dio poteva fare. Nell’episodio di Naaman il Siro del ciclo di Eliseo (2Re 5), il re di Israele a cui è stato inviato il malato per la guarigione risponde infatti così: «Sono un dio che possa dare la morte e la vita perché mi si chieda di liberare qualcuno dalla lebbra?».
Quella di cui stiamo parlando non è una semplice guarigione ma un fatto che intercetta proprio le domande circa l’identità del Nazareno.
La scena inizia con il malato che prende l’iniziativa. Le sue parole sono una confessione di fede implicita, anche se non ne è chiara la qualità effettiva.
Il tono è supplicante e la richiesta è formulata in ginocchio, in segno di rispetto e riconoscimento dell’autorità di Gesù. Non v’è fin qui particolare motivo di dubitare della sua buona fede.
La richiesta non è di una guarigione, ma di una purificazione. C’è dunque l’attesa di una restaurazione complessiva della persona che non tocchi solo il corpo, ma tutta l’esistenza.
Alla propria domanda, il lebbroso antepone un «se tu vuoi», mostrando senza dubbio la fiducia che ripone nella potenza di Gesù, ma al contempo anche una qualche incertezza circa la sua volontà.
Si affida a lui ma resta in attesa, è consapevole di aver forzato la mano, è smorza il tutto con l’inchino e la consegna di sé alla volontà dell’altro.
Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: "Lo voglio, sii purificato!". E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.
La reazione di Gesù è descritta anzitutto in termini emotivi. Partecipa empaticamente alla sofferenza di quell’uomo venendone travolto «fin nelle viscere». Il coinvolgimento è consistente e tale da scuotergli l’animo in profondità. La guarigione è l’esito di tale sentimento di partecipazione.
L’iniziativa, però, non è stata sua e l’irrigidimento nel comportamento seguente sembra suggerire un tentennamento da parte di Gesù Si è forse lasciato prendere la mano per poi riprendersi subito dopo, quasi rimpiangendo di essersi fatto coinvolgere?
Un’altra versione del testo attribuisce a Gesù la collera al posto della compassione, come se la richiesta del lebbroso lo mandasse su tutte le furie. Si tratta di una lezione poco accolta ma comunque interessante, perché suggerirebbe un difetto grave nella richiesta del lebbroso, le cui parole non sarebbero una vera confessione di fede, ma una semplice affermazione sulle capacità di Gesù, ammesso che voglia utilizzarle.
Per quanto non sia semplice risolvere il dubbio, la versione da preferire sembra comunque la prima, soprattutto perché le parole che accompagnano la guarigione - «Voglio! Sii purificato» - esprimono con evidenza una chiara volontà di bene senza alcuna traccia di collera o risentimento.
Vero è che l’atteggiamento immediatamente seguente, brusco e scostante, si accompagna meglio alla collera ma non basta a giustificarla del tutto.
La guarigione avviene con un tocco, come già accaduto con la suocera di Pietro e come capiterà altre volte nel corso del Vangelo di Marco.
La condizione del malato, però, fa sentire qui in modo particolare tutto il peso e la gravità di quel tocco.
Da un punto di vista teologico, ne viene che non esistono situazioni di vita o di morte tali da precludere dal contatto con Dio e la sua volontà di salvezza.
Su un piano umano, poi, il gesto di Gesù che mette in pericolo la propria vita è ovviamente straordinario e commovente. Quanto è diverso il suo atteggiamento dal già citato Eliseo che nemmeno incontrò Naaman di persona ma lo guarì a distanza.
Il suo tocco dimostra che nulla può renderlo impuro e che la sua santità è invece contagiosa e capace di purificare.
Non v’è però nulla di sacrale in tutto questo e certo Gesù non si inserisce nel «sistema del sacro» come il più forte di tutti, anzi, sembra piuttosto tirarsene fuori.
E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: "Guarda di non dire niente a nessuno; va', invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro".
Alla guarigione segue un allontanamento brusco e un po’ brutale, descritto con il verbo della cacciata dei demoni ma anche dell’invio di Gesù nel deserto per opera dello Spirito.
È un gesto di liberazione molto forte con cui Gesù dichiara di rifiutare ogni forma di attaccamento servile e di volere il pieno reinserimento dell’uomo nel circuito delle relazioni umane da cui era stato bandito.
Ma è anche il tentativo di frenare la diffusione della notizia, perciò Gesù «brontola» burberamente contro l’uomo ormai guarito, letteralmente «tuona» o «sbuffa ringhiando sordamente» come un uomo che disapprova un comportamento altrui.
Non ci deve essere spazio al sensazionalismo messianico e l’intenzione autentica della missione di Gesù non deve essere sottoposta a manipolazioni o deformazioni dovute ad attese sbagliate. Dunque meglio il silenzio.
L’uomo è pienamente purificato, perciò nelle condizioni di riprendere a vivere tutte le esigenze della Legge e tutte le opportunità della vita sociale.
Perché ciò sia chiaro, occorre il passaggio istituzionale del riconoscimento pubblico della guarigione che gli restituisca definitivamente la piena dignità. Nella raccomandazione di Gesù c’è tutta la preoccupazione per il futuro sociale di quell’uomo.
C’è una ragione ulteriore dell’invio ai sacerdoti che anticipa le controversie che verranno. Sono essi a dover riconoscere l’autenticità della guarigione e a dichiararla. Possono così ammettere che Gesù ha compiuto un gesto profetico che conferma la sua autorità. Dovranno poi decidere che credito dare al segno visto e toccato con mano.
Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.
Il rimprovero di Gesù non riesce a contenere però la gioia dell’uomo guarito di cui si dice che «proclamava molto». Forse non ha qualcosa di preciso da dire come aveva invece lo spirito impuro nella sinagoga di Cafarnao, ma ha un fatto da narrare e lo fa come un fiume in piena di parole.
Sembra così disubbidire a due ordini di Gesù, perché oltre alla violazione del silenzio imposto, non sembra nemmeno andare dai sacerdoti. Curioso che Colui a cui anche i demoni obbediscono non riesca a farsi obbedire dagli uomini.
Il diffondersi della notizia del miracolo fa sentire i suoi effetti e, paradossalmente, Gesù si trova nella condizione di chi non può più entrare liberamente in un centro abitato. I ruoli si sono clamorosamente invertiti e il guaritore ha preso il posto del malato ai margini della società.
Si ritorna nei luoghi deserti da cui Marco era partito con la narrazione ma non ci si ferma lì: tutti corrono a cercarlo. Di nuovo una contraddizione paradossale.
Il Cristo attira e respinge, fugge e si fa trovare, sta in luoghi deserti che divengono affollati, pretende il silenzio e suscita una marea di parole, cerca un basso profilo e apre alla dimensione pubblica, usa delicatezza con i gesti e ruvidezza con le parole.
Spunti di riflessione
Ci sono tre aspetti consolanti e stimolanti del racconto: la spinta all’autonomia da parte di Gesù, la doppia disobbedienza da parte dell’uomo guarito, lo scambio di posizioni tra i due.
L’intervento di Gesù non ha come scopo la sola guarigione. Questa è solo la condizione perché quell’uomo torni a vivere la sua autonomia nel modo più pieno possibile.
La malattia, oltre al decadimento fisico e all’isolamento sociale, si era impossessata, di fatto, della libertà di quell’uomo. In quelle condizioni le limitazioni sono pari a quelle di una vera e propria prigionia. Come già detto, si trattava di un «morto che cammina».
Il reintegro dunque deve avvenire certo a livello sociale ma anche rispetto rispetto al personale esercizio delle responsabilità, della volontà e della libertà. In questo senso va compresa l’idea della resurrezione come sintesi di quel che accade.
Il segno più evidente di questa intenzione è il brusco allontanamento con cui Gesù chiude la scena. Non ci deve essere dubbio alcuno che l’azione compiuta è una liberazione a tutti gli effetti.
Liberazione anzitutto dal dovere di gratitudine. La gratuità della guarigione è assoluta, al più si dovranno compiere il passaggio istituzionale dai sacerdoti ma solo finalizzato al riconoscimento pubblico della guarigione.
Il miracolo non costituisce un debito in alcun modo e non v’è nessun dovere di restituzione. La Grazia è grazia, per sua stessa natura liberante. E come si può essere liberi sapendo di avere una pendenza con Dio?
Ancora: la ruvidezza del comportamento di Gesù rende chiaro il fatto che l’incontro avuto non è stato un arruolamento, anzi. Nessun legame vincolante trattiene il lebbroso che non è affatto tenuto a divenire parte della schiera dei discepoli.
È così vero tutto questo che l’uomo disobbedisce tranquillamente per due volte alle indicazioni di Gesù! Colui a cui obbediscono i demoni non sa farsi obbedire dagli uomini?
Se costui è il Figlio di Dio, ne viene un’immagine di Dio veramente straordinaria, in special modo rispetto alla considerazione che ha dell’umanità. Che cosa significa “obbedire a Dio” a fronte di tutto questo? Che senso ha parlare di “obbedienza"?
Peraltro, la disobbedienza resta senza conseguenze, se non per Gesù stesso che si trova costretto a ritirarsi.
Il colpo di coda del racconto rimanda un’immagine straordinaria: l’emarginato sale in cattedra ed evangelizza mentre il Maestro evangelizzatore viene emarginato.
Ci si potrebbe fare un bel progetto di rinnovamento radicale della Chiesa, se solo lo si prendesse sul serio.