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«Lui deve crescere, io diminuire». L’Avvento tra Bibbia e Springsteen.
La quinta domenica d'Avvento ambrosiano è intitolata «L'ingresso del Messia». Ne approfondiamo qui il significato, con una meditazione evangelica e l'ascolto guidato di 3 pezzi di B. Springsteen. Quinto di sei interventi proposti alla Comunità Pastorale Madonna del Rosario di Lecco.
«Passare il testimone». Spunti biblici.
ASCOLTA L’INTERVENTO:
La quinta domenica dell’Avvento ambrosiano invita a riflettere sulla figura di Giovanni Battista nel suo ruolo di Precursore del Messia.
Approfondiamo il tema da una prospettiva particolare, quella della fine della missione di Giovanni, con l’inizio del ministero pubblico di Gesù.
Il Battista si trova ad avere a che fare con un passaggio di testimone e con la consapevolezza del fatto che il suo ruolo, ora che Gesù entra in scena, ormai viene meno.
«Lui deve crescere, io diminuire» dice Giovanni ai propri discepoli richiamando l’immagine del tramonto, il proprio, e dell’aurora di Gesù.
C’è un senso di armonia, di evoluzione naturale e ordinata, di composizione consonante della vita dell’uno e dell’altro che si danno vicendevolmente valore.
Approfondiamo dunque questa prospettiva attraverso tre affondi biblici in altrettante vicende che conoscono un passaggio dello stesso tipo.
Eli e Samuele
Il giovane Samuele serviva il Signore alla presenza di Eli. La parola del Signore era rara in quei giorni, le visioni non erano frequenti. E quel giorno avvenne che Eli stava dormendo:al suo posto, i suoi occhi cominciavano a indebolirsi e non riusciva più a vedere. La lampada di Dio non era ancora spenta e Samuele dormiva nel tempio del Signore, dove si trovava l'arca di Dio. Allora il Signore chiamò: "Samuele!" ed egli rispose: "Eccomi", poi corse da Eli e gli disse: "Mi hai chiamato, eccomi!". Egli rispose: "Non ti ho chiamato, torna a dormire!". Tornò e si mise a dormire. 6Ma il Signore chiamò di nuovo: "Samuele!"; Samuele si alzò e corse da Eli dicendo: "Mi hai chiamato, eccomi!". Ma quello rispose di nuovo: "Non ti ho chiamato, figlio mio, torna a dormire!". In realtà Samuele fino ad allora non aveva ancora conosciuto il Signore, né gli era stata ancora rivelata la parola del Signore. Il Signore tornò a chiamare: "Samuele!" per la terza volta; questi si alzò nuovamente e corse da Eli dicendo: "Mi hai chiamato, eccomi!". Allora Eli comprese che il Signore chiamava il giovane. Eli disse a Samuele: "Vattene a dormire e, se ti chiamerà, dirai: "Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta"". Samuele andò a dormire al suo posto. Venne il Signore, stette accanto a lui e lo chiamò come le altre volte: "Samuele, Samuele!". Samuele rispose subito: "Parla, perché il tuo servo ti ascolta". Allora il Signore disse a Samuele: "Ecco, io sto per fare in Israele una cosa che risuonerà negli orecchi di chiunque l'udrà. In quel giorno compirò contro Eli quanto ho pronunciato riguardo alla sua casa, da cima a fondo. Gli ho annunciato che io faccio giustizia della casa di lui per sempre, perché sapeva che i suoi figli disonoravano Dio e non li ha ammoniti. Per questo io giuro contro la casa di Eli: non sarà mai espiata la colpa della casa di Eli, né con i sacrifici né con le offerte!". Samuele dormì fino al mattino, poi aprì i battenti della casa del Signore. Samuele però temeva di manifestare la visione a Eli. Eli chiamò Samuele e gli disse: "Samuele, figlio mio". Rispose: "Eccomi". Disse: "Che discorso ti ha fatto? Non tenermi nascosto nulla. Così Dio faccia a te e anche peggio, se mi nasconderai una sola parola di quanto ti ha detto". Allora Samuele gli svelò tutto e non tenne nascosto nulla. E disse: "È il Signore! Faccia ciò che a lui pare bene". Samuele crebbe e il Signore fu con lui, né lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole. Perciò tutto Israele, da Dan fino a Bersabea, seppe che Samuele era stato costituito profeta del Signore. Il Signore continuò ad apparire a Silo, perché il Signore si rivelava a Samuele a Silo con la sua parola. (1Sam 3, 1-21)
Israele stava vivendo un tempo di decadenza politica ed economica, a cui si aggiungeva una deriva morale diffusa in tutti i livelli sociali, comprese le famiglie sacerdotali, responsabili oltretutto del diffondersi nel popolo di una religiosità insignificante.
Nel buio decadente in cui Israele attende una salvezza, ecco accendersi una luce. Quella di una nascita inattesa.
Samuele, dono divino ad Anna ed Elkana, è il segno di un Dio che trasforma la sterilità in fecondità, il pianto in riso, la disperazione in fiducia nel futuro. Nella sua nascita insperata c’è l’anticipo simbolico di ciò che Jahvé farà con Israele.
La donna, riconoscente del dono ricevuto, una volta svezzato il figlio, lo restituisce a Dio, consacrando Samuele al suo servizio, sotto l’autorità di Eli.
Eli era sacerdote presso il santuario di Silo, insieme ai suoi due figli Cofni e Pincas, degni rappresentanti del decadimento e della corruzione che aveva toccato la famiglia sacerdotale.
Di lui si dice che non vede più, oltretutto è dormiente. L’assenza di visioni non è certo una responsabilità sua, ma appare in ogni caso come un uomo spento, poco recettivo e vigilante.
Samuele dorme a sua volta, ma lo troviamo vicino all’arca e c’è una lampada accesa. Il confronto con Eli è forte: il sonno di Samuele appare “nella luce” e il suo posto è la presenza di Dio.
Dunque, il testo ci spinge a guardare da subito il giovane come figura promettente e già più autorevole di Eli, non per le sue caratteristiche umane, ma il suo determinato e stabile permanere alla presenza di Dio.
Non è per nulla sorprendente che Dio si rivolga a Samuele. C’è aria di passaggio di consegne. Che Samuele subentrerà a Eli appare evidente fin da subito.
Ma ci sono dei passi ancora da compiere per il giovane, il quale, per quanto abituato a stare alla presenza di Dio, non ne riconosce immediatamente la voce, scambiandola per quella del suo mentore.
Rivolgendosi a Eli, Samuele lo chiama direttamente in causa, coinvolgendolo dentro la scoperta di quella nuova vocazione. Una è la chiamata, due sono svegliati dal sonno.
Nemmeno Eli, pur con tutta la sua esperienza, capisce al volo ciò che sta accadendo. Un’altra conferma, forse, di un animo ormai appannato: la sua cecità sembra davvero profonda.
Ci vogliono ben tre chiamate perché l’anziano sacerdote comprenda. In sostanza, potremmo dire che il Signore chiama finché Eli capisce.
Va comunque dato atto a Eli di aver riconosciuto, alla fine, la voce di Dio e di aver svelato al ragazzo la qualità della chiamata che stava ricevendo.
Una volta intuito, infatti, di chi fosse quella voce, l’anziano dà i giusti e dovuti consigli al giovane che si rivolge a Dio con le parole del vecchio sacerdote.
La chiamata di Dio a Samuele smuove anche Eli che ricomprende il proprio ruolo e condivide la sua saggezza e il suo bagaglio di conoscenze con il ragazzo.
L’intreccio è molto bello: il giovane sveglia l’anziano che gli offre i suoi strumenti per affrontare l’evento inatteso.
Il comportamento di Eli è, a suo modo, esemplare e autorevole. C’è un’alleanza tra i due il cui obiettivo è l’ascolto della voce di Dio che torna finalmente a parlare.
Il passaggio si compie e il tramonto di uno si fonde con l’aurora dell’altro: non è più Eli a ricevere visioni. È Samuele colui che viene messo a parte dei segreti di Dio e delle sue misteriose intenzioni.
La domanda di Eli - «Che discorso ti ha fatto? Non tenermi nascosto nulla» - riconosce l’investitura ed è di una bellezza e di una forza straordinarie.
L’anziano sacerdote si mette in ascolto del più giovane e del principio di novità che lo accompagna per volontà divina. Il passaggio di autorità è stato fatto ed Eli vi si sottomette, così come umilmente e docilmente fa con la volontà divina.
Alla fine, dalla mediocrità, esce un’istanza significativa anche dall’immagine del vecchio sacerdote. Egli è colui che riconosce la voce di Dio nella vita di Samuele, lo aiuta a rendersi conto della qualità della sua chiamata, si mette in ascolto della parola di Dio nella vita del giovane e gli impone di esporla senza indugi.
Simeone
Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d'Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch'egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo: "Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele". (Lc 2, 25-32)
Nel racconto c’è una vita che va finendo e una che sta iniziando e ci sono parole - quelle di Simeone in particolare - che tengono insieme proprio le due dimensioni.
In Maria e Giuseppe c’è qualcosa che inizia e finisce allo stesso tempo. Se seguiamo il filo della narrazione, dall’annuncio dell’angelo e anche dalla nascita a Betlemme è già cambiato qualcosa. È finita la luna di miele, si parla già di morte, di spada, di dramma.
L’incrocio tra fine e inizio è articolato attorno al riconoscimento dell’identità del bambino da parte di Simeone e alla sua intuizione circa il percorso che il neonato ha davanti.
Il vecchio riconosce il ruolo decisivo del bambino in relazione alla storia della salvezza e si prende la responsabilità di dire una parola su di Lui, su Maria e Giuseppe.
Lo fa sulla base di una storia in cui ha affinato lo sguardo ed è rimasti costantemente in ascolto. Questo lo ha reso sapiente, cioè capace di leggere la realtà ben al di là della superficie delle cose.
È un’arte che si può imparare nella vita, ma quel che conta è ciò che se ne fa. Lo si fa diventare uno strumento di governo delle persone e di manipolazione dell’altro, oppure uno strumento di servizio, cura e liberazione?
Farlo nel secondo modo - che è quello di Simeone - significa prendersi la responsabilità dell’intuizione avuta, offrirla e poi ritirarsi per non occupare tutto lo spazio altrui con la presenza ingombrante del proprio pensiero.
Capire qualcosa di Gesù dà a Simeone la possibilità di comprendere qualcosa di sé e della propria traiettoria. Si riconosce così in un ruolo preciso, tracciando i confini della sua azione e della qualità della sua presenza nella vita di Gesù.
Per questo Simeone diventa autorevole: può generare crescita senza soffocarla per un goffo eccesso di intraprendenza.
Simeone arriva così al compimento della propria missione, del proprio ruolo e della vita stessa. Per anni ha atteso nel suo ruolo, sulla spinta di una promessa chiara. Ora comprende che la strada si interrompe ed è tempo di deporre la lampada della vigilanza: la luce delle genti è giunta, può spegnere la propria.
Questo passaggio di riconoscimento-consapevolezza è l’indispensabile ingresso dentro la «rassegnazione» da intendersi nel senso letterale del riconsegnare, sciogliere, rompere il sigillo.
«Togliere il sigillo, sciogliere, liberare» sono i significati originali del «rassegnare», da cui poi sono derivati quelli comuni di «consegnare, rinunciare, abbandonare, restituire, rimettere nelle mani di altri».
La «rassegnazione» è qualcosa che richiama una liberazione, un vincolo che si scioglie, il guadagno di un maggior agio di vita. Allude al riposo - per così dire - che segue l’aver compiuto un percorso o al congedo di chi, concluso il suo compito, viene lasciato andare o, in santa pace, si lascia andare.
Simeone «rassegna» il suo compito, ha vissuto nell’attesa e ora depone la veste del servo. È una rassegnazione decisiva nel legame intergenerazionale perché segna i passaggi.
Gesù nell’ultima cena di Giovanni
«Gesù disse: "Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire». (Gv 13, 31-33)
I discepoli sono tristi, confusi e preoccupati per la partenza del loro Maestro, eppure la sua dipartita non sarà un evento di morte, ma avrà i contorni del gesto creatore delle origini.
Dio nel creare si fa da parte per lasciare spazio alla vita di altri e di altro, che prendano posto, crescano, si sviluppino e si esprimano in tutta la loro bellezza. Così, l’assenza fisica di Gesù è come un grembo che genera nuove vite.
Anzitutto crea le condizioni per la fede pasquale piena e autentica. Quella, cioè, che sa cogliere i segni di un sua presenza nuova che non ha più confini di spazio e tempo. Una fede che sa vedere oltre ciò che i normali sguardi sanno cogliere e, per questo, non smarrisce più il volto del suo Signore.
Solo in sua assenza può sorgere la fede pasquale, ed è per la sua partenza che i discepoli possono rimanere in Lui non materialmente ma per mezzo dell’amore reciproco che è la Vita piena e così essere nella gioia.
Ma è soprattutto una assenza che provoca la libertà personale dei discepoli ancora più della presenza materiale. Il Maestro se ne va e ora tocca al discepolo.
La partenza di Gesù chiede di mettersi in gioco, di esprimersi, di assumersi la responsabilità di dire la propria fede, senza deleghe o passività.
Rendendo così tangibile quell’amore reciproco che è la Vita piena promessa a chi accoglie e crede alla sua Parola.
Ma anche creando le opportunità di una crescente comprensione del Vangelo di cui ci si appropria nella misura in cui lo si vive e pratica in prima persona, esprimendo le proprie potenzialità.
«Glory Days, pass you by». Musiche di Springsteen.
«Non essere più quelli di una volta» e passare il tempo a rivangare i bei tempi andati, come il vecchio Eli.
«Prendere posto nella storia» pagando il prezzo del fine che si intende dare alla vita, come il saggio Simeone.
«Vedere in un’assenza la possibilità di una vita nuova», come Gesù racconta ai discepoli che rimarranno senza di Lui.
Mi sono chiesto quali pezzi di Springsteen mi “suonavano dentro” nel pensare questi temi.
E mi sono venuti in mente subito i Glory Days che passano via in un battito di ciglia, la grande rappresentazione della vita che scorre e di chi vi cerca il proprio posto sullo sfondo della Jungleland, il tornare ancora e ancora a quel The River in secca a cercare ancora vita nel vuoto lasciato dai sogni infranti.
Solo assonanze, senza alcuna pretesa.
Nell’audio trovate la presentazione ai tre pezzi e sotto i testi da scaricare con i link ai brani.