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Pensieri autoironici di uno che non ha mai tempo.
Dello spazio, di solito, nessuno dice che è un tiranno. Quando non ce n’è, è perché qualcuno l’ha occupato. Colpa sua, certo non dello spazio che da solo non si ritira.
Poi ho ascoltato il mio «respiro». Non era il fiato corto di chi corre troppo. Piuttosto il rantolo mozzato di chi viene soffocato. Qualcosa stringeva i miei polmoni che non si allargavano più a sufficienza.
Non so se la questione sia davvero il tempo. Quello che non basta per finire il lavoro, per stare con la famiglia, per mangiare con calma, per dormire il giusto, per vedersi un film in pace, per incontrare gli amici, per seguire l’attualità, per fare dello sport, per iniziare un libro, per un minimo di silenzio e di preghiera. Ho il sospetto che il problema sia più lo spazio.
Mi è venuto quando ho cominciato questo lavoro
- sì, chiamarlo ministero sarebbe poco onesto - di Rettore di una scuola. Troppe cose da fare, in troppo poco tempo da vivere, come mai mi era capitato prima. A organizzare il lavoro per moltiplicare virtualmente le ore ci ho anche provato. Mi sono letto cose sulla produttività, sull’efficienza, le strategie di time management, articoli di life hacking. Ho cercato le migliori app per gestire il flusso di lavoro, le più riuscite implementazioni del GTD, il meglio sul mercato per organizzare le informazioni. Niente. Oddio, un po’ hanno anche funzionato, diamogliene atto. Ma il problema restava. Troppo, in troppo poco. Va detto che mi ha fatto bene. Ho sempre pensato che, per quanto affannato fosse il lavoro pastorale - ma poi, davvero, alla fine, onestamente: affannato di che?!?! - non avesse nulla a che fare con il peso di un lavoro vero. Adesso, oltre che pensarlo, posso anche dirlo. Ma al di là di questo, credo di aver capito che il «troppo poco» non erano le ore, bensì i metri.
Incolpare il tempo è facile.
Ha la fama di essere tiranno. Non concede nulla, non si ferma, non si ripete. Scorre implacabile e imperterrito, regolare e severo. Dello spazio, di solito, nessuno dice che è un tiranno. Quando non ce n’è, è perché qualcuno l’ha occupato. Colpa sua, certo non dello spazio che da solo non si ritira. Poi ho ascoltato il mio «respiro». Non era il fiato corto di chi corre troppo. Piuttosto il rantolo mozzato di chi viene soffocato. Qualcosa stringeva i miei polmoni che non si allargavano più a sufficienza. Questione di spazio. Anche lui non è così innocuo come sembra. Non ci stava più tutto “dentro”. «Mamma, mi si è ristretto l’animo». La quantità di “cose” che ero costretto a “tenere insieme” superava di molto la mia capacità, intesa proprio fisicamente come “capienza”.
Soffrivo di scarsa «magnanimità», poca ampiezza d’animo.
Non tanto intesa come generosità. Piuttosto come la virtù di chi è ospitale di fronte alla realtà, di chi mantiene un costante atteggiamento di apertura, di chi rinuncia alle difese perché proiettato ad uscire da sé. La «magnanimità» s’ammala quando, per un motivo o per l’altro ci ripieghiamo su di noi, finendo con l’occupare quello spazio interiore in cui siamo chiamati, invece, ad accogliere, custodire, lavorare ciò che sta fuori di noi. Reagire. Serve quello, quando capita. Bisogna agganciarsi a qualcosa che ci sollevi, ci distenda, ci proietti fuori di noi. Un che di ampio, profondo, elevato perché solo ciò che è grande ha la forza per strapparci dalle nostre microprigioni. Rigettare i piccoli bersagli dei successi personali. Rifiutarsi di credere che l’obiettivo vero sia “riuscire a finire tutto”. Respingere la tensione a rimpicciolire la realtà alla dimensione delle singole cose da fare. E poi. C’è l’Amore che chiede di entrare nella firma di un documento. C’è la Misericordia che bussa in un errore comunicativo. C’è la Fedeltà che si propone nel ripetersi di una procedura. C’è la Giustizia che chiama in una correttezza contabile. C’è la Bellezza che si vela e si svela tra i pregi e i difetti di un volto.
È una lotta quotidiana che due volte su tre perdo.
E non guardo tutti i film che vorrei. E non vedo tutti gli amici che potrei. E non prego le ore che desidererei. Ma almeno respiro. Aaaaah.