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Anche lei, seppur Immacolata, avrà sentito quel sibilo primordiale sottile e suadente, sussurro minaccioso e magnetico.
La voce dell’angelo la afferrò come uno sposo fa con la sposa e lei era pronta per lui come l’amata per il suo amato. Ma non ci dev’essere stato nemmeno lo spazio di un secondo tra il fruscio dell’arrivo dell’angelo e il soffio biforcuto.
Se solo fossi meno giovane, più esperta, magari di nobile famiglia, uno spirito profetico, almeno di un paese meno sconosciuto di questo… Se fossi diversa, un’altra donna, se avessi l’intelligenza della mia vicina, lo spirito di mia cugina, le idee dell’amica d’infanzia…
L’arma sussurrante è puntata all’anima della fanciulla per spaccarla in due mettendola a nudo davanti ai suoi limiti: dividere per regnare, la regola è sempre la stessa.
Dividere Maria da se stessa. Impedirle di abbracciare quella semplicità che Dio stava amando in modo talmente immenso. Dubitare, perdere fiducia, diffidare di quel Dio, di quelle parole, dei propri mezzi.
«Eccomi, sono la serva del Signore». Il Regno cresce in lei e nel suo accogliere come alleata quella forza divina che ha l’ardire di affidarsi alla sua piccolezza e che osa confidare nella sua semplcità. La ragazza stringe a sé la propria umanità amandola come Dio la ama, chiude nel suo grembo la Parola, si perde nell’amplesso divino.
La testa è schiacciata e il sibilo strozzato, ma non tarderà a farsi sentire ancora.
Il violento impulso ad accusare il marito ha forse assalito anche lei all’improvviso come alle spalle. Il torto del buon Giuseppe era evidente quanto la sufficienza dimostrata nell’aver cura del figlio.
L’aveva invitato più volte ad assicurarsi della presenza di Gesù nella carovana che ripartiva da Gerusalemme dopo la Pasqua. «Il ragazzo è già grande, sa badare a sè» aveva risposto pacato il marito.
Ma quando il figlio fu perduto, il pensiero o il desiderio di un marito più all’altezza forse colpì con subdola e inaspettata forza il suo animo immacolato.
L’impulso a prenderne le distanze rovesciandogli addosso ogni responsabilità. I ricordi e le impressioni di tutte le pochezze di quell’uomo che Dio le ha messo accanto. Il Divisore l’aggredisce così. Separare Maria da Giuseppe, dividere per regnare. Inisnuare la sfiducia nell’umile e limitata forza di quell’uomo grande e buono. Aprire una crepa nel cuore della donna perchè entri il freddo della diffidenza.
«Figlio, tuo padre e io ti stavamo cercando». Il Regno cresce in lei con la sua forza di comunione che supera barriere mortali. La sposa stringe a sé il suo sposo in un abbraccio fiduciale invincibile, amandolo come Dio lo ama. Di nuovo la testa sibilante è sotto i piedi. Insieme si torna a Nazaret.
Sapeva bene quali orizzonti d’amore ormai il cuore di Gesù aveva raggiunto. Intuiva con profondità femminile e materna la maturazione del cuore di quel ragazzo ormai uomo, figlio suo e, sempre più in modo evidente, Figlio di Dio.
Immagino il suo cuore di Madre gonfiarsi di fierezza nell’ascoltare il compiersi delle parole dell’angelo: Gesù stabiliva il suo Regno istituendo relazioni nuove, comunioni insperate, salvezze inattese.
Ma la frase che udì quel giorno che non resistette allo struggente bisogno di rivedere il figlio lontano, dovette forse scenderle come un amaro fiele nel grembo che l’aveva generato: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? Chi compie la volontà del Padre».
Improvvisa e inaspettata, un'irrefrenabile voglia di andarsene le si accovaccia alla porta del cuore sussurrando parole di giudizio. Avrebbe meritato ben altro rispetto l’amore di una madre. Se non per accontentarla, almeno per non umiliarla davanti a tutti. La voce del Menzognero si maschera di diffidente moralismo: forse il figlio ha perso un po’ il filo e ha bisogno di una lezione. Sarebbe utile una presa di distanza, dissociarsi da quell'atteggiamento è il minimo.
Incrinare il rapporto col figlio è la strisciante minaccia, dividere per regnare. Spezzare l’invisibile cordone ombelicale che lo Spirito Santo ha tessuto con una lama di sfiducia. Ma il Regno viene con la sua potenza ordinatrice che compone e ricompone senza sosta ciò che pare invitabilmente ridotto in frammenti.
La madre stringe a sé il figlio, ancora una volta, amandolo come il Padre lo ama. Perché il Vangelo tace, ma Maria quel giorno si sedette sulla testa del serpente, in fondo da ultima della fila, come discepola figlia delle parole del Figlio.
Non pensava avrebbe fatto così male. «Una spada ti trafiggerà l’anima» le disse quell'uomo al tempio nei primi giorni da Madre. E’ la morte, sua prima che del Figlio. E non credeva che facesse così male. Stavolta l’assalto è decisivo e attacca l’origine, la sorgente della donna stessa.
«Come può essere suo Padre? Come può essere mio Padre?» Le zanne del Sibilante la straziano con pensieri di rabbiosa e violenta ribellione a quel Dio che si era promesso a lei. Il cuore vuole essere tomba e l’anima sheol, oblio. «Non sarò più la sposa di questo Dio crudele, non farò più del mio animo il talamo di amplessi misteriosi». La lotta è aspra, e il sussurro invincibile: basta una scalfitura di diffidenza, una piccola incisione di sfiducia ed ella sarà strappata da Lui, Padre, Figlio e Spirito.
Un gesto, l’ultimo perché la lotta si concluda: la donna, piena di Grazia, abbraccia il Padre nel corpo straziato del Figlio ricondotto al Suo grembo. E il Regno viene, potenza di Vita che schiaccia ogni istanza di morte.
Maria, immacolata donna del Regno, in te la sua forza ha operato oltre ogni limite di spazio e di tempo. L’insidia della divisione, della diffidenza e della sfiducia non ha saputo vincere il germe della Comunione e della Confidenza scritto in te come virtù originale.
E noi guardiamo a te, dal pantano delle nostre paure, delle nostre diffidenze, dei nostri sospetti, perchè sia anche nostra l’arte di allearci alla potenza di quella Misericordia che porta ordine, armonia, e fiducia senza limiti nè confini.
E venga, in noi come in te, il Suo Regno.