Al sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: "Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te". (Lc 1, 26-28
Dio ha il volto di chi lo accoglie. Come riesce, come sa, come può.
Perché Dio lo si accoglie nella carne.
L’incarnazione non é un «una tantum», ma uno stile, una misura del suo dirsi e del suo darsi.
E non gli si fa spazio se non nella propria carne.
Quelle membra che sono comunque l’apparire del cuore. Perché si può provare a mentire con le parole e dissimulare perfino con le azioni. Ma del cuore, il battito non mente.
Il luogo profondo in cui avviene quel che siamo, nella lotta tra volontario e involontario, tra decisione e rassegnazione, tra il «sì» e il «no».
Dio passa nel mondo per la fessura di un «sì» che trepidanti pronunciamo. Tutti i «sì» sono una spaccatura, un restringimento che si attraversa assottigliandosi, rendendo la nostra vita - e noi con lei - più univoca, precisa, dedicata.
Dio passa per il «sì», prima che per tutti i «no» che - si dice - devono essere detti. Come se la libertà di ognuno fosse un utero che Lo accoglie e il «sì» la spaccatura - all’altro, al mondo - in cui Dio si intrufola per passare e diventare carne.
Dio ha il volto di chi lo accoglie, come riesce, come sa, come può.
E chi accoglie Dio prende il suo volto. Dicendo «sì».
Che si tratti di amare i nemici. Che significhi amare da madre il Figlio di Dio.
A Nazaret c’è un «sì» e Dio prende volto.
Il Dio di Nazaret ha il volto di una ragazzina alle prime armi, i tratti di una che non sa. Una che della vita non sa ancora niente e niente può insegnare. Cos’è l’amore, cos’è essere sposa, come si fa a essere madre. Senza esperienza, senza competenza.
A Nazaret, Dio ha le sembianze di una donna, una che - a quel tempo - «non è» se non di qualcun altro o per qualcun altro. Una che prende dignità solo dai figli che riesce a generare e dai servigi che può offrire.
Ha il volto di una analfabeta, Dio a Nazaret, come doveva essere quella ragazzina dodicenne. Né dotta, né sapiente, non sa teologie, né complesse teorie. Storie del popolo, racconti della gente, confidenze di paese, il ripetersi delle liturgie sono tutto il suo sapere.
A Nazaret, Dio ha i tratti di una periferia. Di ciò che ha cattiva fama, che non si raggiunge né volentieri, né facilmente e da cui si parte prima che si può. Che volentieri si rinnega nei salotti del centro. Che si porta come lo stigma di una sconfitta congenita.
Non ha lignaggi da poter vantare o curriculum da esibire, il Dio di quel giorno a Nazaret. Anonimo come un pezzo di popolo, senza nobiltà né santi in paradiso. Quella dodicenne è poco più di un nome. Così comune - Miriam - da esser buono per confondersi più che distinguersi.
Un volto irrilevante, di una donna che non conta nulla, prende il Dio inaspettato di Nazaret. Un nonnulla, una piccola increspatura sulla superficie della storia. Che ci sia, che sparisca, che mai potrà cambiare?
A Nazaret, Dio prende le membra di una donna indifesa. Non ha armi, né forze, né risorse per imporsi. Se qualcosa della vita sa è la sua natura fragile e caduca. Si può essere e non essere più in un battito di ciglia. Dio ha il volto fragile di una donna che si turba della vita che è un soffio.
Dio ha il tono del canto di gioia di una donna. Sono aperte le porte alla gioia nella casa della ragazzina. Il gusto del vivere non le è sconosciuto, la poesia dell’esistere le è familiare. Canta il Bello e il Giusto. Canta come sa, come riesce come può. Da Nazaret, fino alla Giudea.
Un cuore trafitto, infine, è il ritratto di Dio nel villaggio di Galilea. Il dolore che lacera, la fatica che consuma, la paura che attanaglia, la morte che raggela. Sarà anche questo il «sì» di quella donna. E Dio avrà quel volto.
L’angelo la chiama solo prediletta. Anzi, privilegiata.
Nei secoli han preferito «piena di grazia», che suona più divino.
Quel volto, il volto di chi non sa, di chi non è, di chi non conta, di chi soffre, di chi non vale, di chi sta in periferia, di chi non si difende, di chi è ordinario è troppo poco.
L’han fatta dea, quasi, alla fine.
Senza troppo rispetto per quel «sì», detto invece in una carne così umana che non poteva non essere davvero la dimora di Dio.
Lei era solo prediletta, al massimo privilegiata.
Per quel Figlio, certo, ma forse più per quel «sì» da poter dire.
Privilegiata e predlietta lei, tanto quanto ogni altro uomo e ogni altra donna che può osare dire quel «sì», nella carne che ha, con la voce che può.
Nascerà un Figlio. E dal Figlio un popolo.
Una moltitudine di donne e uomini. Che non sanno, non sono, non contano, soffrono, non valgono, non sanno difendersi, non hanno un nome, stanno in periferia.
Donne e uomini qualunque. Così poco divini.
Ma con così tanta umanità da non poter non essere per primi la «dimora di Dio» ogni volta che osano - o anche solo vorrebbero - dirGli un «sì».
Come sanno, come possono, come riescono.
Prediletti, privilegiati.
Se preferite, «pieni di grazia».