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La parabola di Nicodemo arriva alla conclusione. Va a dare degna sepoltura al corpo di Cristo appena crocefisso. La scelta di accogliere quel corpo è tutta la sua fede. A ben vedere, la sola fede che serve.
Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatea, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo - quello che in precedenza era andato da lui di notte - e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di àloe. Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. Là dunque, poiché era il giorno della Parasceve dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù. (Gv 19, 38-42)
ASCOLTA L’INTERVENTO
INDICE DELLA LECTIO:
Quali fatti precedono l’episodio e come leggerlo.
Giuseppe.
Nicodemo.
Il Corpo.
Chiudere la crocifissione.
Scegliere.
BIBLIOGRAFIA.
Beutler, Johannes, Il Vangelo di Giovanni, Roma, GBP, 2016.
Zumstein, Jean, Il Vangelo secondo Giovanni, Torino, Claudiana, 2016.
Vignolo, Roberto, Personaggi del quarto Vangelo, Milano, Glossa, 2003.
Quali fatti precedono l’episodio e come leggerlo.
Cosa ci ha fatto vedere Giovanni nei versetti precedenti?
Abbiamo visto «il compimento» e abbiamo visto «la gloria». L’«Ora» del Cristo è giunta e Gesù ha preso posto sul trono dal quale domina la storia degli uomini esercitando la sua speciale regalità: il trono della Croce.
Nella Croce c’è la pienezza della Rivelazione. Tutto è stato mostrato del volto del Padre. L’Amore del Dio è palese e portato fino al suo estremo compimento.
Nei fatti della Croce, Giovanni ci ha fatto contemplare la Gloria di Dio, quella del Padre e quella del Figlio. La potenza del dono della vita, che vedremo poi sfondare la parete della morte.
L’episodio in oggetto è breve e ha il carattere della stretta cronaca, con qualche concessione ai dettagli di contorno, sempre di carattere informativo.
La natura del testo deve essere rispettata e il brano va fatto parlare così com’è. Diamo dunque rilievo ai fatti e ai personaggi, come la cronaca richiede, raccogliendo da essi gli spunti utili alla riflessione.
Giuseppe.
Il primo versetto ci presenta il primo dei due personaggi, Giuseppe d’Arimatea e le tre azioni che lo stesso compie: chiedere, prendere e uscire.
Dai vangeli sinottici sappiamo pochissimo del personaggio: membro autorevole del Sinedrio, ricco, persona buona e giusta che attendeva il regno di Dio, era divenuto discepolo di Gesù.
Se facciamo memoria dell’insegnamento di Gesù circa la ricchezza e la possibilità per i ricchi di entrare nel Regno di Dio («È più facile che un cammello passi... Ma a Dio tutto è possibile» Mt 19, 24.26), sentire che Giuseppe di Arimatea è diventato suo discepolo, ci fa guardare a quest’uomo come a un mezzo miracolo, come al risultato splendido della collaborazione tra libertà dell’uomo e la Grazia che rende possibile l’impossibile.
Giovanni aggiunge un elemento non di dettaglio. È un credente ma di nascosto, per paura dei Giudei. Il timore era quello di essere cacciato dal Sinedrio e dalla Sinagoga.
Giuseppe assomiglia al primo Nicodemo, quello che si trovava sotto scacco delle appartenenze che lo caratterizzavano.
Delle tre azioni che compie, quella più determinante, o meglio, la condizione perché avvengano la altre due è l’ultima che abbiamo elencato: uscire.
È vero che nel testo non la si trova direttamente citata, eppure è palese che Giuseppe compie un esodo, una vera e propria uscita di liberazione da una condizione buia, cupa, triste e soprattutto imprigionante.
Giuseppe esce dalla prigione della paura, lascia il nascondiglio in cui celava la sua fede e si palesa pubblicamente, potremmo dire anche ufficialmente, come seguace di Gesù.
Curioso ed interessante è il fatto che la prima volta in cui la fede di Giuseppe viene alla luce, ciò accada di fronte a un personaggio pubblico, in una circostanza che ha i contorni dell’ufficialità civile.
La seconda azione è la richiesta. L’intenzione è quella di evitare a Gesù di essere gettato nella fossa comune insieme agli altri giustiziati. Perciò Giuseppe accelera i tempi per anticipare i soldati che avrebbero compiuto l’operazione.
Contrapponendosi ai soldati e di fatto ai Giudei, dentro la scena della crocifissione Giuseppe e Nicodemo fanno la parte degli «amici di Gesù», in perfetto parallelo con chi ricopriva lo stesso ruolo sotto la Croce: Maria e il Discepolo Amato.
Il parallelo narrativo con queste due figure dà Giuseppe e Nicodemo uno spessore di fede e un rilievo scenografico veramente altissimo.
I due si trovano, infatti, a ricoprire la posizione che era stata dei due che in Giovanni rappresentano la perfezione del cammino discepolare.
La cosa appare sconcertante e scandalosa, se accompagnata al fatto che il percorso di fede di Giuseppe e Nicodemo non è affatto stato esemplare e trova il suo compimento solo in extremis.
Che azione è il chiedere? Cosa comporta? La domanda è sempre una presa di posizione, o meglio è la dichiarazione della stessa. La richiesta svela sempre qualcosa di sé, in genere un bisogno se non anche un desiderio.
Chiedere, semplificando un po’, è la dichiarazione di una mancanza e, allo stesso tempo, del modo in cui si intende affrontarla: di quella cosa non si vuole fare a meno.
Affascinante è guardare alla richiesta del corpo di Gesù da parte di Giuseppe e Nicodemo come alla dichiarazione di una mancanza.
Quel corpo con i segni che porta è ciò che manca alla loro vita. È il testimone, l’attestazione di ciò che avevano intuito e che sulla Croce si è rivelato in modo perfetto: l’Amore del Dio che vuole e dà la vita con abbondanza.
Giuseppe e Nicodemo non vanno dunque, carichi di sensi di colpa e di inadeguatezza, a completare qualcosa che è mancato nel loro cammino.
Piuttosto dichiarano che quel Corpo è anche loro, o quanto meno, che era anche per loro, dunque in una certa misura gli apparteneva (o loro gli appartenevano?!?) e non potevano non curarsene.
È importante sottolineare che i due non vanno «a prendersi» il corpo come di rapina. Possono andare a reclamarlo perché quell’uomo si era fatto dono per loro. Il corpo era già stato donato, insieme alla vita intera di Gesù, perciò possono chiamarlo con il gesto della richiesta, «Mio Signore».
La terza azione è «prendere» che andrebbe meglio reso con «togliere». Qui si può intendere lo staccare il corpo di Gesù dalla croce, poiché più avanti si dirà ancora del gesto del «prendere» ma con tutt’altro significato.
Nicodemo.
Il secondo versetto presenta il personaggio successivo, con le due azioni da lui compiute (andare e portare) e un dettaglio (la quantità degli aromi) che dà al «portare» uno spessore particolare.
Si nota immediatamente che Nicodemo viene presentato ricordando esclusivamente il suo incontro notturno con Gesù e senza far cenno al suo ruolo di capo del popolo.
Sembra che abbia dunque compiuto un percorso lungo il quale un’evoluzione reale è accaduta: ciò che conta ora di lui è il suo «andare da Gesù».
Il Nicodemo stritolato dalle appartenenze socio-politiche e religiose sembra non esserci più. Ora c’è un uomo proteso verso Gesù e questo è ciò che lo qualifica in toto.
In effetti lo vediamo anche qui «andare» verso Gesù, associandosi a Giuseppe nel venire allo scoperto come discepolo del Crocifisso.
La sua identità di credente in Cristo (seppur un credente che ancora non “vede” il Risorto, dunque ancora in cammino verso la piena fede pasquale) diviene un fatto pubblico, come già abbiamo evidenziato nel caso di Giuseppe.
Approfondiamo ulteriormente la portata di questo gesto sottolineandone il carattere di scelta determinata, maturata e infine praticata.
Ciò che accade non è una casualità. Nicodemo - come Giuseppe - non viene scoperto quale credente in Gesù, è lui che si scopre.
C’è una volontà precisa e lucida, frutto di un percorso di liberazione e di presa di consapevolezza di sé, della propria condizione, della qualità dei legami che viveva, della portata del messaggio di Gesù, etc...
È una volontaria uscita allo scoperto che risulta essere definitiva. Di qui non si torna indietro. Certo, potrebbe sempre rinnegare la sua fede, ma la sua immagine, la sua storia, la sua reputazione, il suo stesso modo di guardarsi sono compromessi.
Nicodemo non sarà più quello di prima.
Il dettaglio della quantità esagerata di aromi per la sepoltura ci lasciano intendere il grado di coinvolgimento di Nicodemo e il livello di maturazione della decisione.
È una quantità che richiede una somma molto consistente ed è anche effettivamente sproporzionata ai fini della sepoltura stessa. Uno spreco, un’eccesso apparentemente inutile.
Si intuisce anzitutto la preziosità che Nicodemo riconosceva a Gesù, ma meglio ancora, si coglie l’intenzione di dichiarare e affermare la dignità regale del Crocifisso.
Nicodemo guarda al corpo di Gesù come al corpo del suo re. Non c’è altra autorità, altra sovranità, altra forza di governo sulla sua vita se non quella di Gesù.
È per questo che Nicodemo è diventato un uomo libero. La libertà dei Figli di Dio è la decisione di avere come unica autorità sulla propria vita la paternità amorosa di Dio.
Cercare ed entrare nel Regno è cercare ed accogliere la Sua sovranità sulla nostra esistenza.
Il riconoscimento della regalità è un gesto chiaro di sottomissione e affidamento. Nicodemo che, schiavo di timori e paure, soffriva di sudditanza rispetto al suo gruppo di appartenenza, è libero di onorare Gesù come proprio re.
Il Corpo.
Giovanni si ripete dicendo che i due prendono il corpo di Gesù. Ma la ripetizione non è ridondante.
L’utilizzo di due verbi differenti nel descrivere la medesima azione esteriore, permette di comprendere le diverse valenze del gesto.
Se in prima battuta si trattava del gesto esteriore del prendere/togliere il cadavere dalla croce (Giovanni usa il verbo αἴρω), qui si tratta di un gesto di accoglienza vera e propria. Andrebbe infatti meglio tradotta l’azione con: «accolsero il corpo di Gesù».
Giovanni utilizza in questo secondo caso il verbo λαμβάνω che può prendere il senso forte teologico dell’accogliere la rivelazione di Dio: «A quanti però l’hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio» (Gv 1, 11).
L’atto esterno del prendere il corpo indica la disposizione interiore ad accogliere la rivelazione di Gesù, riconoscendolo come Messia e conferendogli una sepoltura regale.
La scelta della fede è la decisione consapevole di prendere in mano «il corpo di Gesù». Ciò che vale per Nicodemo e Giuseppe vale per ogni credente.
Fanno ciò tenendo lo sguardo fisso su colui che è stato trafitto. Il corpo è la “reliquia”, il “testimone” del compimento della rivelazione. In quel corpo piagato c’è la memoria dello svelamento definitivo dell’amore di Dio.
Sottolineiamo con attenzione la dimensione dell’accoglienza, ribadendo nuovamente che i due non vanno a prenderselo quel corpo. Piuttosto, possono accoglierlo perché è stato donato. Quell’accoglienza è il riconoscimento di un dono avvenuto.
Il Nicodemo che cercava in Gesù il compimento della propria vita nella forma di un «essere riempito» da lui, trova soddisfazione (cfr. Episodio precedente sopra linkato).
La cura che riservano al cadavere, nella piena osservanza delle regole giudaiche, è indice del rispetto e della dignità che intendevano riservargli.
La valenza del gesto del prendere e curare, quale atto di accoglienza della fede e nella fede, emerge anche dalla noncuranza da parte dei due del rispetto delle regole di purità in vista della Pasqua.
Il contatto con il cadavere e le operazioni di sepoltura li avrebbero contaminati e resi impuri per la celebrazione della festività. Ma per Giuseppe e Nicodemo sembra non esistere ora altra Pasqua che quella di Cristo. Da questa sono dominati e non dai codici di purità.
Chiudere la crocifissione.
Scelgono un sepolcro nuovo. È una sepoltura unica come unico è colui che viene sepolto, perciò il luogo deve essere a lui dedicato. Un altro gesto di grande considerazione.
Giovanni fa loro deporre non più il corpo ma Gesù. Prima cadavere ora nuovamente persona? È un cenno alla resurrezione? Suggestivo, ma nel brano sarebbe l’unico segno di una storia che continua.
La sepoltura in Gv non lascia spazio ad altro né ad altri. Non ci sono operazioni da completare, non ci sono visite preannunciate.
È solo la conclusione della crocifissione. I gesti di Nicodemo e Giuseppe “concludono” il compimento realizzato da Gesù, come un sigillo.
Così rimandano a ciò che nell’Ora di Gesù è accaduto e invitano di nuovo a volgere lo sguardo al Trafitto.
Scegliere.
Cosa ci racconta della «scelta della fede e delle sue qualità questo episodio evangelico?
Una qualità fondamentale e tre caratteristiche esteriori.
1. La qualità della scelta della fede (e delle scelte che si compiono in virtù della fede) è l’avere un duplice carattere: dono e cammino.
Non c’è scelta di fede e/o nella fede che non sia anzitutto frutto della grazia e che domandi in prima battuta di essere accolto, così come Nicodemo e Giuseppe fanno con il corpo di Gesù.
La mia decisione è il riconoscimento di una via di grazia e di pienezza che mi viene offerta e che dunque posso accogliere.
Possiamo entrare nella via evangelica perché ci è stata aperta da un Altro, che l’ha percorsa per primo e che ce l’ha annunciata come la strada fatta apposta per noi e per la nostra realizzazione.
Tale dono però richiede un percorso nel quale poi possa prendere corpo e trovare concretezza.
Dunque richiede impegno, determinazione, coinvolgimento, volontà, disciplina, ascesi, perseveranza, flessibilità, intelligenza, passione, fantasia, collaborazione, senso critico…
La fede è sempre dono e cammino.
La scelta riconosce il dono e costruisce il cammino.
2. L’intraprendenza, la prontezza di spirito, la rapidità di Nicodemo e Giuseppe nel realizzare ciò che desiderano, comunicano un senso di agio e di serena determinazione nell’affrontare la situazione.
È ciò che accompagna la scelta della fede e nella fede.
È importante riconoscere e ricordare questo carattere come criterio di discernimento della bontà e della qualità evangelica delle scelte che compiamo.
Attenzione, con questo non si intende assenza di difficoltà, ostacoli o “persecuzioni”, anzi. Bensì un senso di libertà e confidenza perfino nell’affrontare quelle circostanze.
3. Venire allo scoperto: con se stessi e pubblicamente.
Si diventa qualcun altro a tutti gli effetti: ciò che era nascosto diviene qualcosa di cui si risponde.
C’è anche un “fare spazio a” che l’accoglienza del dono comporta, da tenere in considerazione e che comporta significative trasformazioni.
C’è l’abbandono di qualcosa di sé e la ricerca di una novità crescente, che non significa gettare via parti della propria storia ma saperne prendere le distanze con equilibrio e misericordia.
4. La scelta domanda dei segni concreti che siano: visibili, perché ciò di cui si deve poi rendere conto ci chiama di più in causa; eloquenti, perché i segni devono parlare della scelta, dei suoi motivi e dei suoi contenuti; costosi, perché l’amore si spende.