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Sembra un “Natale a metà”.
Dimezzati gli incontri, impossibili i viaggi, ristretti i pranzi e le cene, contingentate le messe, sottotono il clima.
E le cose a metà non piacciono a nessuno.
Un Natale che non sembra Natale fino in fondo, la festa guastata prima ancora che inizi.
Con il fastidio ulteriore del dover essere in ogni caso contenti - che un Natale coi mugugni non si può - e metter su il sorriso forzato mandando giù il boccone amaro fingendo che sia buono.
È un anno eccezionale, ci si ripete poi, e così anche il “Natale a metà”: un’eccezione alla regola.
Quella non scritta, che le cose a metà non valgono nulla, e si accettano solo come sgradita anomalia.
Come se la norma della vita fosse invece il «tutto intero, tutto pieno, tutto riuscito, tutto concluso e ben definito».
Sì, ce l’abbiamo scritto dentro il desiderio del compimento.
L’aspirazione alla pienezza, il raggiungimento perfetto di ciò a cui tendiamo.
La felicità per ogni uomo e donna pare passare di lì. Per il tutto.
E se ci si accontenta di meno, è solo un modo di cambiare nome a quel tutto.
Ma ce lo portiamo dietro anche come criterio morale e di giudizio.
Non si lasciano le cose incompiute, è mancanza di attenzione, rispetto, cura, responsabilità.
Un lavoro iniziato va concluso. Un libro avviato va finito. Una gara avviata va portata a termine.
Un buon criterio, in generale, non lo si può negare.
Ma la realtà è sempre più grande delle idee, anche delle idee buone.
E a volte si scopre strada facendo che quel che pareva buono all’inizio, non si è poi rivelato tale.
Altre volte sono le condizioni a cambiare e non è più saggio finire ciò che si aveva intrapreso.
Altre ancora si comprende, lungo il cammino, che i costi superano ormai di gran lunga i benefici ed è bene abbandonare.
Non bastasse questo, la vita ci sbatte sempre in faccia con una certa durezza che tutto ciò che sta sotto la volta del cielo è, in qualche modo, parziale e provvisorio.
A uno sguardo attento, anche quel che si ritiene concluso e ben finito mostra margini di miglioramento o alternative al modo in cui lo si è realizzato.
Tutto, o quasi, rimane in corso d’opera, comunque un po’ a metà.
E aggiungere i titoli di coda è, per quanto necessario, un piccolo colpo di mano.
Anche il primo Natale è riuscito a metà.
Le premesse e le promesse erano spettacolari.
La realizzazione ha lasciato a desiderare.
Un padre e una madre riusciti a metà nel dare una nascita all’altezza del nascituro.
Un viaggio scomodo, un’accoglienza insufficiente, una dependance anonima e un comitato di benvenuto di seconda mano.
Una piccola storia che comincia già zoppa.
Dall’altra parte c’è la Grande Storia, quella degli imperatori e dei loro imperi.
I potenti a cui nulla sfugge, che mai lasciano i lavori a metà, che contano fino all’ultimo i loro sudditi perché ogni singolo tributo sia versato.
Continuerà così la storia di quel bambino che diventerà uomo, il Figlio dell’uomo. Un po’ zoppicante.
Agli occhi del mondo e dei suoi sarà un Messia riuscito a metà.
Uno che non chiude il colpo, un talento sprecato che quando si tratta di concludere lascia tutto sospeso.
Non ha guarito tutti, non ha convinto tutti, non ha sfamato tutti.
Ha perso anche uno di quelli che proprio Lui aveva scelto e l’incomunicabilità è stata una costante del rapporto con i suoi.
La morte è arrivata, infine, anche su di Lui come su tutti gli uomini e le donne, a impedirGli di fare ciò che ancora mancava e di compiere quel che poteva ancora essere fatto.
Nel Natale, Dio entra nella storia degli uomini e delle donne “riusciti a metà”.
Anzi, Dio entra dentro quel “riuscire a metà” che è la legge fondamentale della nostra vita: desideri infiniti e riuscite parziali, enormi aspirazioni e traguardi che son sempre e solo tappe.
Quell’essere perennemente in viaggio che ci pare una maledizione ma è invece la benedizione della vita, dell’essere vivi, un giorno dopo l’altro.
Questo essere uomini e donne fatti di passi accennati e di gesti abbozzati che aspirano ad essere decisivi e definitivi, se non eterni, ma sono pur sempre e solo in via di realizzazione.
Tuttavia, proprio per quello portano in sé continuamente una promessa di vita e di avvenire, un di più verso cui camminare e a cui sempre tendere.
Il Figlio di Dio entra nella storia degli uomini e delle donne “riusciti a metà” ed è uno di loro.
Nessuna scorciatoia e nessun privilegio.
Non gli riuscirà tutto solo perché Figlio di Dio, anzi.
Attraverserà anche lui la fatica dei traguardi parziali, il tormento dei ripensamenti e la delusione di trovarsi, dopo tanta strada, ancora su un’anti-cima invece che sulla vetta.
Quel «tutto è compiuto» sussurrato sulla Croce non è affatto un cerchio che si chiude nella sua perfezione, ma una penna lasciata cadere senza concludere il tratto, spezzata dal grido della sete e della solitudine.
Non si addolcisca la pillola spacciando la sua resurrezione come una pezza messa dal Padre a nascondere ciò che è mancato.
Sarà piuttosto il segno che la benedizione della vita continua, proprio in quel non essere conclusa una volta per tutte.
La gioia piena che il Vangelo annuncia, la speranza che celebriamo in questo “Natale a metà” sta proprio qui: il Figlio di Dio è uomo “riuscito a metà”, nella storia degli uomini e delle donne, anch’essi sempre in corso d’opera.
Nella parte che in ciascuno manca all’essere perfettamente riusciti è deposta una promessa, quella di un domani in cui ancora camminare e continuare a gustare la Vita che non smette di essere data.
Anche quando arriverà la morte che, Vangelo alla mano, non tronca i discorsi lasciandoli in sospeso ma li rende, infine, parte dell’unica grande Parola di Vita.