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«Padri e Madri. Figli e figlie». Chi è il padre o la madre delle tue azioni?
Omelia della terza domenica dell’Avvento ambrosiano
Voi avete inviato dei messaggeri a Giovanni ed egli ha dato testimonianza alla verità. Io non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dico queste cose perché siate salvati. Egli era la lampada che arde e risplende, e voi solo per un momento avete voluto rallegrarvi alla sua luce. Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato. E anche il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza di me. Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce né avete mai visto il suo volto, e la sua parola non rimane in voi; infatti non credete a colui che egli ha mandato. Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me. (Gv 5, 33-39)
Terza domenica dell’Avvento Ambrosiano.
«Il Padre mio agisce anche ora e anch'io agisco» (Gv 5, 17). Risponde così ai Giudei che gli fanno storie per aver guarito un paralitico in giorno di sabato.
Un altro modo per dire: «Ma a che Dio credete? Non credete al Padre che vuole sempre la Vita per i suoi figli? A Colui che si cura dei deboli e che ha a cuore la sorte dei poveri?».
Quel Dio è Padre suo e Padre anche sue azioni. Senza di Lui non può e non vuole fare nulla: «Ciò che vede fare dal Padre… anche il Figlio lo fa allo stesso modo».
Una comunione piena e una perfetta sovrapposizione di intenti con Colui dal quale riconosce di provenire.
Una cosa che, in effetti, suona un po’ idilliaca se misurata su come sono tutti i legami di sangue. Se abbiamo presente quanto venire al mondo da qualcun altro e mettere al mondo è cosa assai complicata.
Generare, i legami di sangue, i passaggi da una generazione all’altra sono la chiave di volta dell’umanità, ma proprio per questo sono anche il luogo delle sue più grandi rovine.
Il libro della Genesi - non a caso - ce ne racconta in abbondanza. Caino che uccide Abele, Abramo che fugge dal padre-padrone Terach, Giacobbe che inganna Isacco ed Esaù, Labano che inganna Giacobbe, Giuseppe venduto dai fratelli.
Rotture e riconciliazioni. Grembi sterili e altri fin troppo fecondi. Figli attesi e figli rinnegati.
Generare ed essere generati, tanto quanto l’essere fratelli nell’unica origine, nel racconto biblico che si fa specchio dell’umanità, sono esperienze segnate da ferite profonda e che chiedono un costante processo di riconciliazione.
Forse, addirittura, quelle antiche narrazioni ci dicono che generare, essere generati, trovarsi fratelli lo si può vivere solo in un atteggiamento di permanente riconciliazione.
Se si vuole che davvero siano esperienze di vita. Vita data, vita accolta.
Ne facciamo abbondante esperienza tutti. Perché l’essere uomini e donne sta tutto dentro l’essere messi al mondo e mettere al mondo.
Non c’e da stupirsi, dunque, che Gesù racconti di sé e del suo Dio proprio in questi termini. E nemmeno c’e da stupirsi che ne parli in termini di continua ricerca di piena comunione, di impegno costante a restare l’uno nell’altro, di perfetta e riuscita riconciliazione.
Non ha figli, Gesù. Ma non significa che non sia anche Lui un padre.
Non si mettono al mondo solo esseri umani. Si mettono al mondo scelte, desideri, progetti. Si producono sentimenti, emozioni, volontà. Si dà vita all’arte, al divertimento, alla cultura. Si generano lavoro, amicizie, società. Si realizzano reti, sistemi, mondi interi. Si costruiscono filosofie, scienze, religioni.
Gesù si inserisce in questo grande processo del mettere al mondo. Ma dichiara di non essere l’unico padre delle proprie azioni e del proprio farsi uomo dentro quell’agire.
Anzi, dice di più, dice che la paternità delle sue azioni sta tutta nel suo essere figlio.
Paradossale ma vero. Lui può mettere al mondo le sue opere solo perché è Figlio del Padre e vuole farlo solo in quanto tale.
C’è un fatto che ciascuno tocca con mano: ciò che realizziamo - per quanto lo facciamo in prima persona, in piena responsabilità, consapevolezza e libertà - non è mai solo figlio nostro, ma ha sempre diversi padri e altrettante madri.
Il nostro stare nel mondo, infatti, è in debito perenne con chi ci ha preceduto. Un debito che sarà raccolto da chi ci seguirà. Gesù stesso era in debito con la storia del suo popolo, i suoi, etc…
Ma poi, non si può non riconoscere come ognuno di noi finisca spesso per adottare come proprie figlie, delle scelte o delle azioni che hanno altri padri o madri oltre la nostra semplice volontà.
Ci sono scelte figlie della paura, altre dell’orgoglio, altre della presunzione, altre dell’egoismo. Ve ne sono figlie del desiderio di compiacere, di far bella figura, di essere accolti. Ancora altre figlie delle abitudini, del senso comune, della superficialità.
Azioni nelle quali poi, capita di faticare a riconoscersi e di cui volentieri si vorrebbe negare la paternità o la maternità.
Nel disagio che accompagna quei momenti di consapevolezza e nella lacerazione che si prova nell’aver fatto qualcosa che non si voleva, sperimentiamo ancora come il mettere al mondo sia segnato da una disarmonia che chiede costantemente di essere ricomposta e riconciliata.
Gesù fa di questo generare le opere un luogo in cui essere e restare figlio. Uno spazio di costante riconciliazione.
Non si limita a sbandierare cromosomi divini rivendicando la sua diversità rispetto agli altri. Bensì, lotta costantemente perché Dio si manifesti come Padre, insieme a Lui, del suo stile di essere uomo tra gli uomini e le donne del suo tempo.
Le tentazioni sono la narrazione plastica di come anche l’armonia tra Gesù e il Padre sia stata scossa. E come il primo si opponga ad accettare altre paternità o maternità delle sue azioni che non siano quelle del suo Dio. Al Satana che propone di adottarlo per patrocinare con la potenza il suo operato da Messia, Gesù risponde in malo modo di volere un Padre solo.
Perché le sue scelte non abbiano altri padri illegittimi, il Cristo vive il suo mettere al mondo come un modo di restare figlio, di tornare all’origine della Vita. Se il suo operare deve avere un Padre, che sia allora il Padre della vita e il Padre di tutti. Dunque, tutte le opere non siano che quelle di un fratello che ama il prossimo come un fratello.
Chiedersi di chi sono figlie le nostre azioni è porsi la domanda su quale sia il Dio in cui crediamo.
Il nostro essere figli di Dio è grazia, ma per la possibilità di lottare quotidianamente, come Gesù ha fatto, perché il nostro agire sia figlio del Padre o Madre della Vita. Perché concretizzi una reale fraternità con coloro che abbiamo accanto.
I tempi che viviamo pongono domande serie e decisive circa la paternità/maternità delle nostre azioni.
Figlie della paura? Figlie dell’imprudenza? Figlie del profitto che garantisca un determinato livello di vita? Figlie di tradizioni e abitudini? Figlie di complotti e di cattiva informazione? Figlie di ristrette visioni del mondo? Figlie di privilegi appannaggio di pochi?
Non sono questioni banali quelle attorno all’origine delle nostre scelte. Per questo non serve essere severi o intransigenti con se stessi.
Serve porsi le domande, aprire le riflessioni, acquisire le consapevolezze.
Avere il coraggio di avviare processi di costante e umile riconciliazione. Con il i fratelli e le sorelle, con se stessi e le proprie scelte, con Dio.