«Il coraggio della libertà». Gesù e i figli di Abramo.
Omelia della Terza di Quaresima.
Continuano ad essere pochi quelli che credono a questa Parola e vi rimangono, benché molti, ancora, possano apparire “religiosi”.
Molti continuano a preferire che altri decidano per loro, che altri giudichino per loro, che altri ragionino per loro. Coltivano il culto dell’uomo forte o del senso comune o di un’obbedienza che umilia la coscienza personale.
Il Signore Gesù disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete liberi”?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi. Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro». Gli risposero: «Il padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto. Voi fate le opere del padre vostro». Gli risposero allora: «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato. Per quale motivo non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alla mia parola. Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna. A me, invece, voi non credete, perché dico la verità. Chi di voi può dimostrare che ho peccato? Se dico la verità, perché non mi credete? Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio». Gli risposero i Giudei: «Non abbiamo forse ragione di dire che tu sei un Samaritano e un indemoniato?». Rispose Gesù: «Io non sono indemoniato: io onoro il Padre mio, ma voi non onorate me. Io non cerco la mia gloria; vi è chi la cerca, e giudica. In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno». Gli dissero allora i Giudei: «Ora sappiamo che sei indemoniato. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: “Se uno osserva la mia parola, non sperimenterà la morte in eterno”. Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?». Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: “È nostro Dio!”, e non lo conoscete. Io invece lo conosco. Se dicessi che non lo conosco, sarei come voi: un mentitore. Ma io lo conosco e osservo la sua parola. Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia». Allora i Giudei gli dissero: «Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono». Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio. (Giovanni 8, 31-59)
C’è una chiamata alla libertà nelle parole di Gesù. La ragione per cui abbiamo inventato la parola vocazione sta tutta qui. Uno ti chiama, ha una parola per te. E tu rispondi, in un modo o nell’altro.
Quella Parola non è una proposta di impiego. Nemmeno un dispaccio militare con un ordine da compiere. Neppure una rivelazione di ciò cui ineluttabilmente dovrai accettare.
Quella Parola è un’esistenza, quella di Gesù. Quella Parola è una vita che pulsa, un’intelligenza che si accende, una volontà che si muove, un cuore che scalda.
È il Figlio che mostra il volto del Padre che dà la Vita, lasciandosi amare da lui e amandolo senza misura. Questa è la Verità.
Per questo si può «rimanere» in quella Parola. Perché è viva, perché è Vita. Perciò vi si può collocare anche la propria vita, lasciando che prenda giorno dopo giorno la stessa forma dell’esistenza di Gesù. Nell’essere figli, nel diventare fratelli.
Quella Parola chiama. Chiama come uno spazio di Vita, per questo di libertà.
Vi si entra per un passaggio stretto: fare di quella Parola che chiama, che fa verità, che libera, la misura della propria vita. Decisamente, non uno scherzo.
I discepoli di Gesù hanno la Sua Parola per misura.
L'altezza dei loro obiettivi, la profondità dei pensieri, l'ampiezza delle relazioni, il volume dei loro affetti, il peso delle azioni, la lunghezza dei cammini, la durata delle esperienze: è la Parola a stabilirli.
Han trasformato la propria autonomia in una eteronomia: un Altro è la norma della loro vita. Han toccato con mano la ristrettezza delle loro misure e si sono buttati nell’unica Parola che pareva loro smisurata.
Hanno riconosciuto come la perdita di libertà possa prendere mille forme e hanno perso l’arroganza del pensarsi liberi da qualsiasi condizionamento.
Nessuna rinuncia di libertà, bensì la libertà perfetta: decidere di consegnarsi alla Parola di un Altro e ritrovarsi in orizzonti sconfinati.
I discepoli di Gesù, però, non ritagliano la Sua Parola a propria misura.
Han capito che è tutta d'un pezzo e non la si può fare a pezzi. Se ne coglie la verità solo lasciando tutte le parti al loro posto. Sanno che devono imparare a trovar posto in Lei e non costringerla ad adattarsi a loro piccoli spazi.
La studiano, la amano, se ne nutrono. Si rifiutano però di vivisezionarla, sanno che la ucciderebbero. La contemplano come un'opera d'arte e godono infinitamente delle sue bellezze, anche quando hanno toni forti, o forme misteriose.
Lasciano i particolari al loro posto, evitando di estrapolarli e di confonderli con il tutto dell’opera. Sanno che tutta la Parola è fatta dai dettegli, ma questi si comprendono solo nel Tutto che è quella Parola.
I discepoli di Gesù, poi, si lasciano misurare dalla Sua Parola.
Lo fanno perché si sono innamorati del suo modo di essere uomo. Han visto i suoi gesti, le sue opere, le sue scelte e se ne sono invaghiti. L'amore produce somiglianza.
Vogliono imitarne i gesti, le opere, le scelte. Perciò amano farsi giudicare dalla Parola. Hanno perso l'ansia di dire e dirsi in continuazione chi sono, cosa fanno, come sono.
Raccontarsi o sapere che si racconta di loro? Non è più importante. La Parola sia narrata ad alta voce, che si oda ben chiara, perché ne va della loro vita.
Non si ostinano a millantare misure che non hanno, non negano l’evidenza del loro agire palese. Non si difendono dietro una religiosità che ha tutto l’aspetto di un’appartenenza etnica.
I discepoli di Gesù, inoltre, si misurano con la Parola che è in Lui.
E' una spada, una forza, una sfida, una meta. Con essa si misurano e si scontrano. Perché han compreso che quella Parola non ama la remissività e non teme certo il confronto vigoroso.
Le energie van messe in campo, disposti a faticare, a lottare, a soffrire. Non c'è da vincere il confronto o da sconfigger l'avversario. La vittoria sta anzitutto nello scendere nell'arena dell'ascolto autentico.
L'han capito la prima volta che hanno accettato l'incontro incrociando le braccia con essa come fanno i lottatori: ne sono usciti, anziché sfiancati, rinvigoriti e rinnovati.
La Parola è una pietra focaia, fa scintille se colpita e accende la vita solo se percossa.
I tiepidi e i pavidi la considerano una pietra senza valore solo perché non sanno o non vogliono usarla. Qualcuno di loro c'ha provato e s'è spaventato: "Oh, ma brucia!", "Metti via, metti via che è pericolosa", "Non si può usare così, ci vogliono le precauzioni".
Altri han pensato a una diavoleria: "Ma siam sicuri che viene da Dio? E se fosse opera del diavolo? Guarda quelli cosa fanno e cosa dicono: paiono indemoniati!". Allora l'han messa in una bella teca, la spolverano ogni tanto, ma con tanta tanta delicatezza e attenzione, perché ci si può far male.
I discepoli di Gesù, infine, misurano con la Parola.
Così come si lasciano giudicare da essa, con la stessa libertà e allo stesso modo, non temono con essa di giudicare il mondo.
Sanno che mettersi dietro a Gesù significa entrare in crisi e, allo stesso tempo, mettere in crisi. Avviare processi che facciano luce, che portino chiarezza, che scoprano le ipocrisie, che smentiscano le menzogne.
Non condannano mai. Ascoltano la Parola fare distinzione tra le cose del mondo. La bontà e la malvagità, la giustizia e l'iniquità, la rettitudine e la disonestà, la verità e la bugia, la sincerità e l'ipocrisia.
Vedono la Parola manifestarsi nella persona di Gesù e in tutto il suo essere uomo. Intelligenza, affetti, volontà, corporeità. E stanno dentro al mondo misurandolo con tutte le armoniche della propria umanità. Perché nulla sia perso, frainteso, dimenticato.
Continuano ad essere pochi quelli che credono a questa Parola e vi rimangono, benché molti, ancora, possano apparire “religiosi”.
D’altronde, il brivido della libertà, quella vera, non è uno scherzo.
E molti continuano a preferire che altri decidano per loro, che altri giudichino per loro, che altri ragionino per loro. Coltivano il culto dell’uomo forte o del senso comune o di un’obbedienza che umilia la coscienza personale.
Ma il Vangelo è un «dramma». Passa dalla decisione, dalla scelta, dalla libertà, dalla volontà. Tutto ciò che, alla fine, ti fa persona quanto Gesù lo è stato.
Non si crede con la fede di un altro. Nemmeno fosse Abramo.
E non c’è altra via che entrare il quella Parola, rimanervi e nella libertà per compiere le opere del Padre nostro.