«Un uomo giusto». Riflessioni biblico-letterarie su Giuseppe di Nazaret.
Primo di 4 incontri di Avvento sui Vangeli dell'Infanzia tra Bibbia e Letteratura.
Primo approfondimento di quattro sui Vangeli dell’infanzia, proposti alla Comunità Pastorale Madonna del Rosario di Lecco come percorso d’Avvento 2022.
Gli interventi prevedono una parte biblica sempre proposta da don Cristiano Mauri e una letteraria offerta in questo caso da don Paolo Alliata.
18Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. 19Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. 20Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; 21ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati". 22Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: 23 Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi. 24Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa; 25senza che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù. (Mt 1, 18-25)
Parte biblica
Premessa
All'inizio del suo scritto, come d'uso negli scritit di carattere biografico del suo tempo, Mt colloca una sorta di proemio che copre ben 4 capitoli (1,1-4,22).
La prima funzione di questo preludio è simile a quella degli altri contemporanei: narrare gli inizi della storia del protagonista.
Troviamo infatti la genealogia di Gesù, la nascita e alcuni episodi della significativi precedenti il vero esordio pubblico (l'incontro con il Battista e le Tentazioni), assimilabili a una fase di "formazione".
Nelle storie di grandi personaggi al tempo dell'evangelista, era uso dare caratteri di straordinarietà alle origini della vicenda, inserendo fatti eccezionali, interventi divini, prodigi e via dicendo.
Il proemio di Mt non fa eccezione e l'eccezionalità dei fatti con cui accompagna la nascita di Gesù va considerata in questa prospettiva letteraria.
Una seconda funzione del prologo antico era indicare lo scopo della narrazione, così da mettere subito il lettore nelle condizioni di sapere cosa avrebbe potuto attendersi.
Rispetto a questo elemento, Mt prende le distanze, rinunciando a indicare il proprio obiettivo per dare subito grande spazio e rilievo a ciò che è cruciale nel suo racconto: l'identità autentica del personaggio.
Fin da subito, e soprattutto attrverso l'uso delle «citazioni di compimento» molto presenti nei racconti dell'infanzia, Mt vuole che non vi siano dubbi a riguardo: Gesù è l'Emmanuele Figlio di Dio.
Il lettore fin da subito sa che la vicenda che ascolterà, benché narrata con i topos letterari della cultura del tempo, è unica non solo perché lo è ogni vicenda umana, ma per il carattere divino della sua natura.
Sottolineando fin da subito che il nome di quell'uomo Figlio di Dio è Emmanuele, Mt allude alla sua presenza permanente nella storia.
Quel che si appresta a raccontare non sono una serie di fatti accaduti nel passato, ma l'annuncio di una presenza viva accanto al lettore stesso.
Tu che leggi, ascolti l'annuncio del Dio che ti è vicino.
Dunque lo scritto di Mt non è un semplice resoconto o una generica biografia. Chi lo affronta si appresata a vivere un'esperienza di riconoscimento e accoglienza di una presenza al suo fianco, quella del Signore Gesù.
Da questa presenza, dalla sua parola, dalle sue opere, non potrà non essere interrogato e provocato.
Infine, nel suo proemio, Mt intende far assaggiare fin da subito il tono drammatico che prenderà il racconto e colloca in nuce nei primi capitoli lo sviluppo di tutta la vicenda: da Betlemme Gesù sale in Galilea come faranno i discepoli dopo la Resurrezione; è Messia di Israele ma sarà costretto ad uscire in Egitto, come più avanti sarà respinto dai capi del popolo.
Il cammino del Figlio di Dio si presenta aspro e accidentato.
È inevitabile che ci si interroghi circa la natura di questo Dio di cui Gesù è il Figlio e anche riguardo la modalità con cui questo Messia salverà il suo popolo. Che Dio è quello che attraversa una storia così travagliata e che salvatore può essere uno che trova così tanta ostilità in coloro che intende salvare?
I racconti dell'infanzia vanno letti dall'interno in questo quadro, devono essere compresi a partire da esso e devono essere considerati in funzione della sua costruzione.
Si comprende facilmente che la questione della storicità di questi testi lascia il tempo che trova, anzi, rischia di fare perdere di vista il loro vero scopo.
A quueste considerazioni e relativamente allo specifico racconto che stiamo commentando, va aggiunto che Mt pesca abbondantemente da alcuni schemi narrativi della letteratura del suo tempo.
Per comprendere il racconto di Giuseppe e l'annuncio dell'angelo, va tenuto presente come sfondo generale la tipologia: «racconto del re bambino perseguitato e salvato» di cui c'è abbondanza di riscontri negli scritti antichi.
In maniera particolare, Mt 1, 18-25 è da considerare imparentato con la «aggadà di Mosè», con cui condivide anzitutto il motivo biblico dell'«annuncio della nascita» e con la leggenda della nascita verginale di Melchisedek, davvero molto simile al racconto di Mt.
Lo stesso motivo della nascita senza contributo umano non è per nulla originale, ma presente in diversi racconti ellenistici ed egiziani riguardanti la nascita di re, eroi... La peculiarità qui sta nel legame tra la figliolanza divina, Spirito e nascita verginale.
Di nuovo, considerando tutto questo, è chiaro che la questione della storicità è un vicolo cieco.
Cosa vediamo allora in questi testi?
In essi troviamo anzitutto il tentativo di una comunità cristiana, quella di Mt, di dire la propria fede in Gesù figlio nello Spirito per opera di Dio.
Leggendoli, dunque, di cosa dobbiamo metterci in ascolto in definitiva?
Di un'esperienza di fede.
Quella di gente che ha riconsciuto il Signore Gesù presente e lo ha chiamato «Dio vicino», «Dio con noi».
A motivo e dall'interno di questo riconscimento, hanno lasciato che la sua parola e il suo stile determinassero le loro vite nel modo più concreto e pratico possibile.
Hanno accolto i suoi insegnamenti obbedendo ad essi, consegnandosi alla loro autorevolezza e cercando di praticarli nei modi e secondo le possibilità che erano loro concesse.
Nel fare questo hanno dato origine a una comprensione particolare del messaggio di Gesù, quella mediata dalle loro stesse esistenze e dalle loro vicende.
Hanno compreso che era possibile fare spazio al comando dell'amore, vivere l'esperienza delle beatitudini, praticare la giustizia della misericordia e si sono assunti la responsabilità di farlo.
Nel loro racconto c'è l'annuncio di questa possibilità come opportunità permanente, offerta a tutti coloro che desiderano viverla.
Entriamo nel dettaglio del testo cercando di comprendere quali elementi dell'esperienza di fede la comunità di Mt ha cristallizzato dentro il racconto di Giuseppe e dell'angelo.
1. Titolo e presupposto (v.18)
Il v.18a fa da titolo alla pericope, indicando da subito che ciò che sta a cuore all'evangelista è anzitutto la generazione, l'origine di G' con il suo carattere divino. Prova ne è lo spazio ridottissimo dedicato alla nascita, relegata a un passaggio narrativo di poche parole.
Il titolo diventa il punto prospettico da cui il lettore deve ascoltare il racconto, mettendosi in sintonia con Mt e con le sue scelte rispetto a ciò che merita attenzione e ciò che può considerarsi di contorno.
Fin dall'inizio, chi legge sa che quel che accade è opera dello Spirito. L'informazione è straordinaria e fuori dal comune, una di quelle che fa sorgere mille domande e che desta l'attenzione sul proseguio del racconto.
A questo punto, il lettore è già in vantaggio su Giuseppe, sapendo cose che il carpentiere di Nazaret nel racconto ancora non conosce.
È inevitabile che l'attenzione immediatamente si porti sul fidanzato della giovane, nell'attesa di vedere come reagirà e come si comporterà in una simile circostanza.
Contestualmente viene chiarata la condizione dei due rispetto al matrimonio: si sono fidanzati e attendono di inziare la vita insieme come previsto dal rituale.
Questo dettaglio definisce strettamente le strade che Giuseppe potrà prendere nell'affrontare la situazione di una gravidanza di cui non è responsabile.
Le strade, secondo l'uso giudaico, erano due: processo pubblico per adulterio, con tutto quel che ne sarebbe seguito; lettera di ripudio alla presenza di due testimoni.
Dal punto di vista narrativo, l'attenzione si concentra sempre più su Giuseppe.
Dunque, se è chiaro che Mt intende offrirci elementi decisivi sull'identità del nascituro, d'altra parte spinge perché ci si soffermi a contemplare le mosse dello sposo di Maria.
2. Giuseppe, il Giusto (v.19)
Giuseppe sceglie per il ripudio e la sottolineatura dell'intenzione di una certa riservatezza (cosa in realtà impossibile) dice già molto dell'animo di quell'uomo.
L'omissione di una serie di particolari da parte di Mt va assolutamente rispettata ed è opportuno evitare di formulare ipotesi e tantomeno tesi conseguenti.
È più corretto rispettare la linearità del testo e la sua essenzialità, accettando semplicemente il dato della scelta di Giuseppe per una certa soluzione della questione.
Di questa scelta Mt ha un giudizio preciso: si tratta di un atto di giustizia e Giuseppe si comporta da uomo giusto.
In che senso e In cosa consiste la sua giustizia?
Considerando la prospettiva matteana che vede nella legge dell'amore - cuore e sintesi di ogni volontà divina - il compimento pieno della giustizia, il comportamento giusto di Giuseppe va interpretato in questa direzione: sta compiendo perfettamente l'amore.
Il suo gesto non è di rappresaglia, di convenienza, di superiorità, ma semplicemente di amore.
Potremmo dire che Giuseppe custodisce Maria fino alla fine, secondo le modalità che la sua cultura e il suo tempo gli consente.
È un giudeo giusto che dimostra indulgenza e clemenza salvando la vita alla sua fidanzata e tentanto di non esporla all'infamia in modo clamoroso.
Egli fa la volontà di Dio fin da subito, prima ancora di obbedire all'angelo, poiché nel suo agire si lascia guidare dall'amore e non v'è altra volontà divina che questo.
Il padre adottivo di Gesù si colloca così a pieno titolo tra quelli che danno perfetto compimento alla Legge attraverso l'amore, anticipando a quel che sarà lo stile del figlio e cominciando a dare compimento alle Scritture che sono il grande testimone della volontà di Dio.
3. L'angelo, l'annuncio e il nome (vv.20-21)
Nella Bibbia il sogno è strumento di rivelazione ed è in effetti quel che accade anche con Giuserppe che viene messo a parte della natura straordinaria della gravidanza della sposa.
Nel sogno, però non c'è solo una rivelazione.
Le parole dell'angelo contengono certo un annuncio, ma anche un ordine preciso: Giuseppe viene caricato del compito della paternità di Gesù.
Quel bambino, che non è suo, deve diventare tale.
Non si parla granché dell'apparizione, la concentrazione è tutta sull'ordine.
Giuseppe deve essere padre di Gesù perché è «figlio di Davide» e il futuro messia non puo che essere di stirpe davidica.
Insieme alla stirpe terrena, viene ribadita però l'appartenenza a quella divina, con il richiamo allo Spirito che qui va pensato all'opera come vero e proprio creatore e non come "partner sessuale" di Maria.
Dunque, il cuore dell'intervento dell'angelo è l'ordine di assegnazione del nome: questo sembra essere lo scopo fondamentale della narrazione.
Da notare che l'ordine circa il nome è corredato da un'importante affermazione teologica che introduce un tema che per Mt sarà di particolare importanza, specialmente in relazione alla vita della comunità.
Al compito di salvare il popolo, tipico del Messia, si aggiunge il tema del perdono dei peccati.
L'epoca messianica era attesa come tempo in cui i peccatori sarebbero stati eliminati, ma senza che fosse stabilito come. Qui viene indicata una via che fa emergere tutto lo specifico cristiano del perdono.
4. Citazione di compimento (vv.22-23)
A questo puntoo, Mt commenta direttamente l'accaduto, dandoci la chiave interpretativa di tutta la vicenda.
Lo fa con la prima delle cosiddette «citazioni di compimento».
EXCURSUS: Matteo e le citazioni di compimento
Dal concepimento in poi, in Mt c’è un ritornello che accompagna stabilmente lo sviluppo della vicenda dell’uomo di Nazareth: «Perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta», associato a una citazione dell’Antico Testamento.
Per dieci volte, altrettanti episodi sono commentati in questo modo. Ben quattro di essi sono concentrati nei racconti dell’infanzia, indicando chiaramente qual è il segno sotto il quale si pone la storia di Gesù.
Mt le utilizza per portare in primo piano gli elementi di base della sua teologia e della sua comprensione del mistero di Cristo: egli è l’Emmanuele, è Figlio di Dio, è il Messia che si fa carico delle sofferenze di Israele per guarirle, è il Re non violento, Servo mite di Dio speranza per tutte le genti.
Dall’insieme delle citazioni emerge l’immagine di un uomo tutto immerso dentro il piano di Dio, che comprende se stesso in tale disegno che assume consapevolmente e liberamente. In estrema sintesi, il Gesù di Matteo è il Figlio obbediente che intende portare a pienezza l'agire del Padre.
L’elemento caratteristico di queste «citazioni di compimento» è il verbo «pleroo», cioè «compiere», nel senso proprio del «completare, riempire, condurre a pienezza». Dunque, in senso lato anche «perfezionare» e «realizzare» nel modo migliore possibile.
Il senso del verbo «pleroo» può essere compreso secondo diverse prospettive.
Anzitutto Gesù ha compiuto le profezie nel senso che nella sua vita si sono propriamente e concretamente realizzate.
In seconda battuta ha compiuto la Legge e i Profeti perché ha vissuto come figlio obbediente, onorando e praticando la volontà del Padre contenuta nelle Scritture, cercandone lo spirito così in profondità da apparire a tratti perfino estremista.
Terzo, Gesù compie “la Profezia” poiché è profeta a sua volta e nel modo più autorevole possibile, parlando per Dio e di Dio con una parola che realizza ciò che dice.
Da ultimo, Gesù stesso è compimento poiché, in lui e con lui, l’intenzione di bene e di salvezza di Dio raggiunge il suo culmine, segnando un prima e un poi nella storia umana. Tutta la Scrittura chiede, per questo, di essere letta a partire da lui e in lui si riverbera tutta la profezia scritta.
C'è un altro elemento sorprendente che Mt inserisce nell'episodio attraverso la citazione di Is 7, 14. Si tratta di un altro compito assegnato a interlocutori terzi rispetto a Giuseppe.
La loro identità non viene specificata, aprendo così tutto lo spazio necessario perché il lettore si senta chiamato in causa, ascoltando quelle parole come rivolte anzitutto a sé.
Il compito, straiordinario, è di nuovo l'assegnazione di un nome a Gesù. Un nome che non è il suo e che non è per niente usuale: «Dio con noi».
Come Giuseppe deve riconoscere Gesù come parte della propria stirpe accogliendolo come Messia e assegandogli il nome, così altri dovranno accoglierlo come parte della loro vita, riconoscendolo come Figlio di Dio perennemente presente e vivo insisme a loro.
Lungo il suo Vangelo Mt non perde occasioni per suggerire l'idea di Gesù come Figlio del «Dio con noi» e a sua volta Emmanele, fino al celeberrimo versetto finale di 28, 20 («Io sono con voi tutti i giorni...»), che crea con la citazione di Is 7, 14 una chiara inclusione, evidenziando quanto il «Dio con noi» sia tema determinante del suo scritto.
Potremmo dire dunque così: in Giuseppe viene condensata l'esperienza di chi riconosce Dio come parte della propria vita assumendosi coraggiosamente una responsabilità precisa al riguardo e conducendo una vita «in obbedienza» a quella presenza.
Come lui, ogni altro uomo o donna può percorrere lo stesso sentiero osando chiamare Gesù «Dio con noi».
il discepolo che legge il Vangelo di Mt si mette alla scuola di un Maestro che riconosce come presenza viva di Dio, come Dio-in-cammino con lui.
Diventare discepoli di Gesù consiste nel coraggioso atto di fede di dargli un nome: «Dio con noi». Per questo la sua parola e le sue opere divengono un'autorevole regola di vita e criterio dirimente della prassi quotidiana.
Per il discepolo, Gesù non è un fatto passato, ma realtà viva e vera nel suo presente di vita. Il Gesù storico alla cui parola si è chiamati ad obbedire è lo stesso che viene innalzato nella gloria che è sempre con la sua comunità.
Quella Scrittura non si limita a interpretare solo la nascita del bambino, ma anche l'azione di tutti coloro che lo riconosceranno come presenza di Dio in mezzo all'umanità.
Così, ogni discepolo, diventa protagonista del compiersi di quella parola, prendendosi la responsabilità di renderla viva e attuale.
Il nucleo del brano sta qui, in questa esperienza di fede che la comunità di Mt vive e che trascrive nella vicenda dello stesso Giuseppe.
5. L'obbedienza di Giuseppe (vv.24-25)
Giuseppe appare come il capofila di coloro che riconosceranno nell'uomo di Nazaret il «Dio con noi». La sua obbedienza si pone dentro il grande processo di compimento della Scrittura che accade nella vicenda di Gesù.
Il brano volge alla conclusione e Mt usa la classica forma «ordine-esecuzione» che nella Bibbia qualifica il giusto esemplare come chiusura dell'episodio e come rafforzamento ulteriore del messaggio contenuto nella figura del padre adottivo di Gesù.
La centratura sull'obbedienza di Giuseppe fa passare in secondo piano l'integrità di Maria e l'assenza dell'unione sponsale, qui finalizzate particolarmente a ribadire la divinità della nascita.
Parte Letteraria
(Appunti sintetici non rivisti dall'autore).
Puoi scaricare da qui i testi proposti da don Paolo Alliata
.Nei Vangeli Giuseppe tace, agisce, dorme apparendo come il Giusto per eccellenza.
Nella poesia di Rilke, Giuseppe appare invece dubbioso e perfin carico di rabbia per l'impossibilità di capire quel che sta accadendo alla futura sposa che non riconosce più.
L'angelo si affanna attorno a lui cercando di scuoterlo dalla cupezza delle sue domande e delle sue rigidità.
Lo rimprovera perfino, ricordandogli che ciò che cresce in Maria è opera di Dio. Egli deve forse rendere conto a un falegname, lui che dà la vita al legno che Giuseppe lavora?
La scossa del messaggero divino ha il suo effetto e al buon uomo non resta che levarsi il cappello davanti all'agire di Dio sciogliendosi in un canto di lode che tanto richiama il Magnificat della sua sposa.
Ma nella fatica di Giuseppe, si riverberano tutte le circostanze di vita in cui non è semplice capire come agire e che direzione prendere. Quelle in cui il dubbio ci impedisce di capire chi siamo e dove vogliamo andare e dunque ci appoggiamo al riscontro altrui lasciando che siano loro a dirci quale via intraprendere.
Lo vediamo anche in queste lettere che Rilke invia in risposta a un giovane che gli chiede consiglio circa il proprio desiderio di fare il poeta.
La risposta di Rilke è chiara: la smetta di ascoltare gli altri e cominci a cercare dentro di sé se davvero quella della poesia è una chiamata.
Rilke lo invita ad ascoltare il desiderio profondo che porta in sé e ad obbedire ad esso.
È un parallelo che permette di guardare a Giuseppe da una particolare prospettiva.
Egli aveva il cuore sinceramente orientato da un desiderio preciso: quello dell'amore.
La strada da seguire non può essere individuata se non ascoltando dentro di sé quella voce potente.
È una riflessione importante se si pensa quanto sia stato spesso insegnato nella nostra tradizione a diffidare dai desideri profondi, quasi portassero in sé un baco che li rende per natura difettosi.
Meglio obbedire per non sbagliare mai, meglio farsi dire da altri quel che è meglio fare. Meglio lasciare ad altri di determinare quale sia la volontà di Dio.
Ma in quale altro luogo parla se non attraverso la potenza del desiderio?
Il percorso del diventare adulti passa dall'assunzione consapevole, responsabile e coraggiosa dei propri desideri e poi dall'impegno alla loro concreta realizzazione.
Questo, nella vita, si scontra con il fatto che la realtà ha spesso la voce più grossa della nostra e si è costretti ad accettare eventi che accadono e sui quali non si hanno margini di manovra.
Inutile stare a recriminare, fare del vittimismo, lamentarsi del fatto che le cose non vadano come previsto.
La strada resta quella dello sposare il desiderio con il concreto della vita.
Una seconda poesia di Rilke aggiunge un elemento a tutto questo.
C'è una mano che tiene ogni cosa e anche ciò che cade e pare finire - come le foglie del componimento - non va perduto.
C'è una "Dolcezza infinita" che tiene in mano con infinita tenerezza anche le cose più piccole e insignificanti.
Dunque non tutto dipende da noi e non tutto e nelle nostre mani.
Sulla base di questa consapevolezza
Rilke, ancora nelle lettere al giovane Kappus, rimprovera la pretesa di fuggire ogni inquietudine della vita.
Perché ha la pretesa di volere evitare l'inquietudine e ogni possibile dolore o fatica?
Occorre sapersi affidare a quelle mani che tengono, occorre accettare di sperimentare che è la vita a tenerci più che il contrario.
Tutto è gestazione, dice Rilke, dunque travaglio e fatica ma anche evoluzione, crescita e possibilità di vita.
Bisogna sapere attendere, avere la pazienza di attendere che la vita si svoiga, avendo il coraggio di accoglierla nella sua interezza.
Giuseppe, uomo giusto, si consegna alle mani di Dio, mettendo il proprio desiderio di amore a servizio di una storia più grande di lui.
Paolo Alliata (Milano, 1971) è sacerdote della Diocesi di Milano. È responsabile del Servizio per l'Apostolato Biblico per la Diocesi di Milano. Laureato in Lettere classiche, ha scritto e messo in scena per bambini e ragazzi testi teatrali sulla Bibbia. Nelle sue recenti pubblicazioni, va alla ricerca di tracce di Vangelo in famose opere letterarie.
Le Lettere a un giovane poeta furono realmente indirizzate da Rilke al giovane scrittore Kappus fra il 1903 e il 1908. Pubblicate postume nel 1929, si diffusero in breve tempo nei paesi di lingua tedesca come una specie di breviario – non tanto d’arte quanto di vita.↩︎