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«Il verso giusto». I capricci dei potenti e il vero Dio.
Seconda Domenica dopo la Dedicazione
Gesù riprese a parlar loro in parabole e disse: «Il regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non vollero venire. Di nuovo mandò altri servi a dire: Ecco ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e i miei animali ingrassati sono gia macellati e tutto è pronto; venite alle nozze. Ma costoro non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò e, mandate le sue truppe, uccise quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: Il banchetto nuziale è pronto, ma gli invitati non ne erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze. Usciti nelle strade, quei servi raccolsero quanti ne trovarono, buoni e cattivi, e la sala si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e, scorto un tale che non indossava l'abito nuziale, gli disse: Amico, come hai potuto entrare qui senz'abito nuziale? Ed egli ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti». (Mt 22, 1-14)
ASCOLTA L'OMELIA
La parabola è l'ultima di un gruppo di tre, raccontate da Gesù nel tempio alla folla, ai farisei, ai sacerdoti con lo scopo di colpire in modo critico la violenza di cui il popolo è vittima, arrivando allo scontro con i suoi rappresentanti.
L’accusa di Gesù è diretta e chiara: assetati di potere e di denaro, anziché servire Dio curandosi dei poveri come buoni pastori, hanno preso a difendere interessi di parte, a intrallazzare con i potenti, a opprimere i poveri.
Nel loro modo di agire non si intravedono i tratti del volto di un Padre ma la maschera di un Dio violento, capriccioso, permaloso e vendicativo che, anziché consolare opprime, piuttosto che sollevare schiaccia, invece che salvare condanna.
Le parole iniziali di Gesù indicano il modo con cui occorre ascoltare il racconto: il verbo utilizzato - “rassomigliare” - va nella direzione di un invito a usare le immagini paraboliche come termine di paragone per chiarire e affermare a quale volto di Dio si crede.
Potremmo tradurre in questo modo il funzionamento della parabola: «Se rappresento così il volto di Dio, cosa ne pensi? Gli somiglia? È possibile? È plausibile? Convince? Lo vorresti un Dio così?»
Per comprendere e decodificare i codici simbolici della parabola, occorre chiedersi qual è l’ambito storico-sociale che fa da sfondo.
Chi ascoltava la parabola aveva bene in mente ciò che era abituato a fare durante i banchetti un re erodiano, un prefetto romano o chiunque altro avesse potere, una corte, dei soldati a disposizione per governare un territorio sufficientemente vasto.
I nobili, ricchi, proprietari terrieri erano invitati ai banchetti per ragioni di prestigio e per stringere alleanze o accordi commerciali, ed erano tenuti alla lealtà verso il sovrano. La gente per strada, invece, veniva invitata per scopi populistici e demagogici dal sovrano quando cercava di avere il favore delle masse.
Quello sfondo rendeva plausibile anche la scena dell’espulsione finale: un re che subiva un affronto pubblico non esitava, altrettanto pubblicamente, a punire il responsabile con arresto e torture nelle segrete di cui i palazzi erano di frequente dotati. Anche la brutalità della reazione per lo sgarbo subito è storicamente attestata: incendi di intere città, devastazioni, deportazioni.
Attribuire a Dio atteggiamenti simili fa però a pugni con il resto del Vangelo.
Nel testo di Matteo, il mondo giusto di Dio - il Regno di Dio - è posto in contrapposizione radicale e alternativa al mondo ingiusto degli uomini.
Inoltre, le immagini della parabola non sono metafore frutto di fantasia, ma fanno riferimento a una realtà effettiva portatrice di sofferenze umane e di gravi ingiustizie. Possibile che siano attribuite al Padre di Gesù?
Le immagini non vanno lette dunque come una serie di allegorie, bensì come il racconto delle strutture imperiali messe qui confronto con la regalità di Dio perché se ne colga la radicale differenza.
La parabola intende perciò affermare: Dio non è affatto così!
Dio si comporta in ben altro modo: non cerca il favore dei potenti e nemmeno li sostiene; non usa la violenza, la rappresaglia, la minaccia; non usa i poveri strumentalizzandoli; non impone il proprio potere vincolando al punto da privare della libertà; non è permaloso e suscettibile, né capriccioso e umorale; non seleziona discriminando; non accetta solo chi presenta crediti adeguati…
Il versetto finale costituisce la diretta chiamata in causa di chi ascolta a prendere posizione: in mezzo a un mondo fatto così, in cui la maggior parte - i “molti chiamati” - sono tentati di agire con le stesse logiche e metodi, coloro che scelgono il Vangelo - “i pochi eletti”, - devono essere alternativi praticando la giustizia del Regno, radicalmente opposta a quella del re della parabola.
La parabola, è un invito a rispondere con parole proprie al sistema iniquo rappresentato nel racconto.
Gesù chiede implicitamente di rispondere alle ingiustizie instaurando il mondo di Dio, quello che Gesù annuncia con il Suo Vangelo di guarigione e prossimità ai poveri. I «pochi» del finale della parabola sono quelli che nella moltitudine che cede alla logica del mondo, continua a credere alla promessa di Dio, cercando il Suo Regno.