Raccontare il Vangelo.
Ecco che cosa può fare un prete per godersi il crepuscolo di questo tempo e farlo godere al mondo.
No, non insegnare.
Solo raccontare.
// by don Cristiano Mauri
Raccontare il Vangelo.
Ecco che cosa può fare un prete per godersi il crepuscolo di questo tempo e farlo godere al mondo.
No, non insegnare.
Solo raccontare.
// by don Cristiano Mauri
In questi giorni è tornata a circolare in rete un’intervista che ho rilasciato all’Espresso nel mese di settembre 2014, che si collocava all’interno di un dossier fatto dalla testata attorno al Sinodo sulla famiglia.
Vista la quantità di richieste di spiegazioni che sto ricevendo in privato, ecco un post di chiarimenti.
// by don Cristiano Mauri
Sembra ormai sempre più una questione di tifo da stadio.
Qualcuno sostiene che oggi non c’è alternativa allo stile tifo da stadio, o meglio, che l’unica possibile sarebbe quella della tiepidezza.
Non c’è modo migliore di affermare il Vangelo che viverlo integralmente, seriamente, umilmente e appassionatamente.
Dubito che darsi battaglia nel cortile cattolico così come lo si fa in un Colosseo qualsiasi possa in qualche modo esserlo.
Tanto più se il prendere le parti del Vangelo diventa un tirare il Vangelo dalla propria parte. Facendo di Gesù un capo ultrà.
// by don Cristiano Mauri
«Sei venuto per la benedizione, vero?» mi dice a un certo punto.
«Sì, ma se siete musulmani…» replico io cercando un approccio intelligente, tra il rispetto e la discrezione.
«E quindi? La benedizione non è chiedere a Dio il bene per qualcuno? E non puoi farlo per noi che siamo musulmani?»
Ecco. Appunto. A volte a far troppo gli intelligenti si fa la figura degli scemi.
«Certo, certo che posso».
«Allora tu chiedi a Dio il bene per me e per la mia famiglia. Io lo chiederò per te e per la tua».
Più che una benedizione e una preghiera, questo è un patto.
Un’alleanza per il bene.
«Amen!». «E’ vero!», quel che c’è stato tra noi è vero. Un bene vero.
Una porta aperta, davvero. Un muro caduto, veramente.
// by don Cristiano Mauri
Sulla soglia di casa l’anziano mi spiega sottovoce: «Quell’altro non è un parente. Abita qui di fronte. Non siamo mai stati amici ma è rimasto vedovo due anni fa. Tutte le sere gli prepariamo un piatto di minestra. Da solo non lo si poteva lasciare. Da soli è brutto. Ormai è uno di famiglia».
Mi allontano, pregando perché l’odore di quella casa diventi anche il mio.
// by don Cristiano Mauri
«Qual è la tua statuina preferita?» gli chiedo.
Mi indica un omino anziano in ginocchio a lato della grotta, con solo il cappello in mano.
«Perchè proprio quella?»
«Perchè è la preferita di Gesù»
«Ah sì? E da cosa lo capisci?»
«Non ha niente da donare»
«E secondo te Gesù non ci rimarrà male?»
«Secondo me ci rimane male quando i regali non può farli Lui agli altri».
// by don Cristiano Mauri
È utile continuare, in questo tempo travagliato, a cercare motivi di speranza fuori di noi inseguendo l’ultimo dei profeti di salvezza, obbedendo alla più recente delle teorie di riscatto, alimentando il sogno di un’improbabile svolta miracolosa?
Forse basta ascoltare nel fango-e-luce di cui siamo fatti, la voce di quella tensione interiore che ci spinge a non restare prigionieri, e troveremmo lì tutta e sola la speranza di cui abbiamo bisogno.
// by don Cristiano Mauri
Di fragile materia ci hanno fatto. Polvere e soffio. Fango e alito. Uno sbuffo d’aria, un raggio di sole, l’artiglio del gelo. Una parola tagliente, un tocco bruciante, uno sguardo obliquo bastano a scombinarci. Nulla siamo e un nonnulla ci disperde. Chi delira negando l’evidenza e chi accampa una pretesa di consistenza, ma come la …